Clima
L’appello di 15 mila scienziati per salvare il clima; World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice
Hanno aderito 15 mila scienziati di 184 paesi ad un appello per invitare l’umanità a cambiare modello di vita per evitare il disastro ambientale dovuto al riscaldamento climatico.
L’appello pubblicato in lingua inglese, per la rivista BioScience è stato scritto da otto scienziati: William J. Ripple, ecologo dell’università dell’Oregon (Usa); Mohammed Alamgir, ricercatore di scienze forestali e ambientali di Chittagong (Bangladesh); Ellen Crist del dipartimento di scienze, tecnologia e società dell’università della Virginia (Usa); Mauro Galetti ecologo dell’università paulista di Sao Paulo (Brasile); William Laurance, professore emerito di biologia della conservazione all’università James Cook (Australia); Mahmoud I. Mahmoud ricercatore della National Oil Spill Detection and Response Agency di Abuja (Nigeria); Thomas M. Newsome, associato al dipartimento di ecosistemi forestali e società dell’università dell’Oregon (Usa) e all’università Deakin di Geelong (Australia); Christopher Wolf , ricercatore di sistemi forestali all’università dell’Oregon (Usa).
A loro si sono aggiunti altri 15.364 scienziati di 184 paesi.
Ecco l’appello tradotto in lingua italiana:
Sono trascorsi 25 anni da quando, nel 1992 l’unione degli scienziati responsabili e più di 1.700 scienziati indipendenti, compresa la maggior parte dei premi Nobel in materie scientifiche allora in vita, firmavano il “World Scientist’s Warning to Umanity”. Quegli scienziati esortavano l’umanità a fermare la distruzione dell’ambiente naturale e avvertivano: “per evitare grandi disastri umani è indispensabile operare un profondo cambiamento nella nostra gestione della terra e della vita che essa racchiude”. Nel loro manifesto, i firmatari mostravano che gli esseri umani procedevano lungo una traiettoria di scontro con il mondo naturale. Gli scienziati si mostravano preoccupati per gli effettivi guasti, presenti o potenziali, causati al pianeta Terra, come la diminuzione dello strato di ozono, la riduzione dell’acqua potabile, lo scadimento della vita marina, le zone morte degli oceani, la deforestazione, la distruzione della biodiversità, il cambiamento climatico e la crescita continua della popolazione umana. Affermavano la necessità di procedere in fretta a cambiamenti decisivi per evitare conseguenze inevitabili mantenendo inalterato il comportamento corrente.
Gli autori della dichiarazione del 1992 temevano che l’umanità stesse forzando gli ecosistemi oltre la capacità di sostenere la trama della vita. Si auguravano che avremmo capito in fretta i limiti di tolleranza della biosfera, prima di causare guasti gravi e irreversibili. Gli scienziati firmatari ritenevano necessario stabilizzare la popolazione umana, convinti che il vasto numero di esseri umani – aumentati di altri due miliardi di persone dal 1992, pari a una crescita del 35% – esercita sulla Terra pressioni tali da annullare ogni tentativo di assicurarle un futuro duraturo. Essi insistono per una riduzione delle nostre emissioni di gas a effetto serra (GHG) per l’abbandono progressivo dei combustibili fossili, per la riduzione della deforestazione e per l’inversione della tendenza alla distruzione della biodiversità. Nel venticinquesimo anniversario del loro appello, è arrivato il momento di ricordare il loro avvertimento e di valutare le risposte che l’umanità ha dato, esaminando i dati delle serie cronologiche disponibili. Dal 1992, se si esclude la stabilizzazione dell’assottigliamento dello strato di ozono stratosferico, l’umanità non ha compiuto progressi sufficienti per risolvere le sfide ambientali annunciate, ed è molto inquietante costatare che per la maggior parte i problemi si sono fortemente aggravati. Tracciato effettivo di un cambiamento climatico potenzialmente catastrofico, dovuto all’aumento del volume dei GHG cresciuti per la combustione dei combustibili fossili deforestazione e produzione agricola – soprattutto emissioni causate dall’allevamento dei ruminanti da macello. Abbiamo inoltre scatenato un fenomeno di estinzione di massa, il sesto in circa 540 milioni di anni, al termine del quale numerose forme di vita potrebbero sparire del tutto, o in ogni caso trovarsi prossime dell’estinzione da qui a fine secolo.
L’umanità riceve oggi un secondo avvertimento a causa dalle sue pericolose tendenze. Mettiamo in pericolo l’avvenire rifiutandoci di moderare il consumo materiale, intenso e oltretutto iniquo, in senso geografico e demografico e di prendere coscienza che la crescita demografica rapida e continua è uno dei principali fattori di minacce ambientali e anche sociali. Fallendo nel tentativo di limitare adeguatamente la crescita della popolazione, di rivalutare il ruolo di un’economia basata sulla crescita, di ridurre le emissioni di GHG, di incoraggiare il ricorso a energie rinnovabili, di proteggere gli habitat naturali, di restaurare gli ecosistemi, di eliminare l’inquinamento, di por termine alla “defaunazione” e a limitare il propagarsi delle specie estranee invadenti. L’umanità sceglie di non prendere le misure urgenti indispensabili per preservare la nostra biosfera in pericolo.
Poiché i responsabili politici sono sensibili alle pressioni, gli scienziati, le personalità mediatiche e i cittadini qualsiasi devono esigere dai loro governi che prendano misure immediate: si tratta di un imperativo morale nei confronti delle generazioni presenti e future degli esseri umani e delle altre forme di vita. Grazie a un’ondata d’iniziative di base, organizzate, è possibile avere la meglio su qualsiasi opposizione, per profonda che sia e obbligare i dirigenti politici ad agire. È venuto anche il tempo di esaminare i nostri comportamenti individuali, compresi limiti alla stessa riproduzione (l’ideale sarebbe di attenersi al massimo al livello del ricambio della popolazione) e diminuendo drasticamente i nostri consumi pro capite di combustibili fossili, carne e altre risorse.
Il rapido declino delle sostanze distruttrici dello strato di ozono nel mondo mostra che siamo capaci di operare cambiamenti positivi quando operiamo con determinazione. Abbiamo raggiunto risultati nella lotta contro la fame e la povertà estrema. Altri notevoli progressi (che non entrano ancora nei grafici acclusi) includono il rapido declino dei tassi di fertilità in molte regioni da attribuirsi all’investimento in educazione di ragazze e donne (www.un.org/esa/population), il promettente declino del ritmo della deforestazione in determinate regioni e la rapida crescita nel settore delle energie rinnovabili. Abbiamo imparato molto dopo il 1992, ma il progresso sul piano dei cambiamenti che sarebbe necessario realizzare con urgenza in tema di politiche ambientali, comportamenti umani e iniquità mondiali è ancora ben lontano dall’essere sufficiente.
Le transizioni verso la sostenibilità possono avvenire in modi diversi, ma hanno sempre bisogno di una pressione della società civile, di campagne d’informazione fondate su prove, di leadership politica e solida comprensione degli strumenti politici, dei mercati e di altri fattori. Qui di seguito, senza ordine di grandezza o importanza, alcuni esempi di misure efficaci e diversificate che l’umanità potrebbe assumere per operare la propria transizione verso la sostenibilità:
a) privilegiare la messa in opera di scorte connesse tra loro, correttamente finanziate e correttamente gestite destinate a proteggere un parte significativa dei diversi habitat terrestri, aerei e acquatici – acqua di mare e acqua dolce;
b) preservare i servizi resi dalla natura per mezzo degli ecosistemi bloccando la conversione di foreste, praterie e altri habitat originali;
c) restaurare su grande scala le comunità di piante endemiche, in particolare i paesaggi forestali;
d) rendere di nuovo selvaggi spazi abitati da specie endemiche, in particolare da superpredatori, al fine di ristabilire dinamiche e processi ecologici;
e) sviluppare e adottare strumenti politici per lottare contro la “defaunazione”, il bracconaggio, lo sfruttamento e il traffico delle specie minacciate;
f) ridurre lo sperpero alimentare con l’insegnamento e il miglioramento delle infrastrutture;
g) promuovere un riorientamento del regime alimentare verso un nutrimento prevalentemente vegetale;
h) ridurre ancora il tasso di fecondità, facendo sì che uomini e donne abbiano accesso all’educazione e ai servizi della pianificazione familiare, in particolare nelle regioni dove tale servizio è ancora assente;
i) moltiplicare le uscite all’aperto dei bambini nell’intento di sviluppare la loro sensibilità alla natura, e in maniera generale migliorare l’apprezzamento per la natura in tutta la società;
l) disinvestire in determinati settori e por fine a taluni acquisti per incoraggiare un cambiamento ambientalista positivo;
m) concepire e promuovere nuove tecnologie verdi e indirizzare una più decisa attenzione alle fonti di energia verdi riducendo progressivamente gli aiuti alle produzioni di energia che utilizzano combustibili fossili;
n) rivedere la nostra economia al fine di ridurre le disuguaglianze di ricchezza e fare sì che i prezzi, le tasse e i dispositivi di sostegno tengano conto dei costi reali per l’ambiente dei nostri schemi di consumo;
o) determinare a lungo termine una misura di popolazione umana sostenibile e difendibile scientificamente, assicurando al contempo il sostegno dei pesi e dei responsabili mondiali al fine di raggiungere tale obiettivo vitale.
Per evitare una sofferenza generalizzata e una catastrofica perdita di biodiversità, l’umanità deve adottare un’alternativa ecologicamente più durevole di quanto non sia la sua pratica attuale. Pur se la raccomandazione sia stata chiaramente formulata già venticinque anni fa dai maggiori scienziati del mondo, nella maggior parte degli argomenti trattati non abbiamo dato ascolto al loro avvertimento.
Presto sarà troppo tardi per uscire dalla traiettoria votata allo scacco, e il tempo incalza. Dobbiamo prendere coscienza tanto nelle nostre vite quotidiane che nelle nostre istituzioni governative che la Terra, con tutto quello che contiene, è la nostra sola casa.
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Ambiente
Scrivo da un paese che non esiste: il sito che racconta l’impatto del cambiamento climatico in Italia
E’ online il sito Il Clima sta cambiando che contiene i reportage realizzati dal progetto Scrivo da un paese che non esiste , viaggio nell’Italia del cambiamento climatico. Scrivo da un paese che non esiste è un progetto di quality giornalism realizzato da ANSO l’Associazione Nazionale della Stampa Online, finanziato da Google News Initiative, che raccoglie le voci delle testate locali per raccontare l’impatto del cambiamento climatico in ogni angolo d’Italia.
Un mosaico di inchieste, reportage e storie che, pezzo dopo pezzo, compongono un’immagine inedita e allarmante del nostro Paese. Insieme con i lavori di tutti i giornali che troveranno spazio, link e visibilità nel sito del progetto, è previsto un prodotto finale. Sarà un docufilm: “Il Clima sta cambiando” sintesi dei video girati nei vari territori italiani.
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Acqua
A Valencia un disastro climatico porta 95 morti e dispersi imprecisati. E’ il più grande disastro naturale in Spagna
L’alluvione che ha colpito Valencia nel 2024 è stata un evento climatico di proporzioni drammatiche, causata dal passaggio di un fenomeno DANA (Depresión Aislada en Niveles Altos), noto in spagnolo come Gota Fria che ha riversato nella regione una quantità di pioggia senza precedenti.
In meno di 8 ore, si sono accumulati circa 445 millimetri di pioggia, una quantità che solitamente si raccoglie in un intero anno. Questo fenomeno ha trasformato le strade in fiumi, bloccato numerosi trasporti e causato vasti danni strutturali, con interruzioni nelle linee ferroviarie ad alta velocità e nella viabilità locale. I voli sono stati deviati e diverse aree risultano isolate o difficilmente raggiungibili.
Le immagini dell’alluvione mostrano scenari devastanti, con veicoli sommersi, edifici allagati e campi agricoli completamente devastati. La priorità attuale è il recupero dei dispersi e il ristabilimento dei collegamenti essenziali, mentre le previsioni meteorologiche mantengono un rischio di ulteriori precipitazioni nei giorni seguenti, aggravando ulteriormente la situazione
La disastrosa alluvione che ha colpito la provincia di Valencia nel pomeriggio-sera di ieri, martedì 29 ottobre, è stata innescata da una serie di nubifragi autorigeneranti sviluppatisi all’interno della medesima depressione che nello scorso weekend aveva interessato il Nord-Ovest italiano con eventi alluvionali tra Savona e Genova, in Valle Bormida e in Toscana, e che poi, ormai isolata dal flusso perturbato principale delle medie latitudini (cut-off) è andata a localizzarsi intorno a Gibilterra. Il drammatico bilancio dell’evento è in continua evoluzione, per ora sono accertati 70 morti, ma i dispersi sono a decine.Secondo AEMET, l’agenzia statale di meteorologia della Spagna, la precipitazione più intensa è stata registrata a Chiva, nell’entroterra 35 km a Ovest della costa di Valencia, con ben 491,2 mm in otto ore (pari alla media di un anno!), di cui 160 in un’ora. Si tratta di un valore tra i più elevati storicamente noti in Europa e nel bacino del Mediterraneo, all’incirca del medesimo ordine di grandezza dei 472 mm caduti in un tempo tuttavia ancora più breve (6 ore) il 25 ottobre 2011 a Brugnato (La Spezia), responsabili dell’alluvione delle Cinque Terre e della Val di Vara, e dei 496 mm piovuti sempre in 6 ore il 4 ottobre 2021 a Montenotte Inferiore (Savona), attuale record italiano su tale intervallo orario (precipitazioni tuttavia avvenute in territori mediamente abituati a ricevere e smaltire il triplo della pioggia annua di Valencia). Sono quantità che nessun territorio, anche se correttamente (e giustamente) manutenuto, può sopportare senza gravi conseguenze.
D’altra parte la Comunità Valenzana non è nuova a questo tipo di episodi, essendo anzi tra le zone maggiormente propense allo sviluppo di violenti nubifragi autorigeneranti in Europa e in tutto il bacino del Mediterraneo, insieme alla Catalogna, al Midi francese (dove si parla di épisodes cévenols o méditerranéens) e alla Liguria, trovandosi alle spalle di un mare caldo che dispensa enormi quantità di energia e vapore acqueo per lo sviluppo dei sistemi temporaleschi, con la complicità di fattori orografici e dinamici locali. Un altro evento drammatico avvenne proprio a Valencia il 14 ottobre 1957 causando almeno 81 vittime per il violento straripamento del fiume Turia che attraversava la città, e di cui – a seguito dell’episodio – venne deciso lo spostamento dell’alveo di 3 km, a sud dell’area metropolitana, dove si trova attualmente.
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Clima
Il mese di giugno 2024 è stato il più caldo mai registrato a livello globale
Il mese di giugno 2024 è stato il più caldo mai registrato a livello globale, secondo il programma europeo per il clima Copernicus. (altro…)
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