Digitale
Elon Musk o “La bolla che verrà (parte seconda)”
c:\>07 Tutto ebbe inizio all’attacco della “Banda TNT” al Campidoglio, ma in realtà fu molto prima
Alla scomparsa di Steve Jobs, l’uomo che, pur non avendolo inventato, cambiò la faccia del mondo per come lo conoscevamo — seppure quello che divenne non fu ciò che avrebbe sperato — l’occidente disorientato dal lutto aveva un terrificante bisogno di sperare in un’alternativa (sapendo bene che non sarebbe più potuta arrivare dagli eredi di Apple). Non credo che lui fece molto per sobillare la cosa, ma di fatto il mondo tecnologico cominciò a scegliere lui, Elon Musk, un ultra-ingegnere sudafricano dalla natura decisamente boera in un paese controllato da lobbies aschenazite di cultura yiddish (in fondo in entrambi i casi passavano per l’Olanda), che si era fatto strada aprendo e vendendo idee imprenditoriali con fondi fantasma o “amichevoli”. Ma questo ve lo lascio cercare fra l’ampia e controversa letteratura sul personaggio. Ora torniamo ai Social e al controverso rapporto con il patron di Tesla e Starlink.
Turbative fra divertimento e guadagno
Elon dev’essersi accorto di questo bisogno del mondo consumistico di un profeta di riferimento e in fondo non ha né sottoscritto né rifiutato la scomoda eredità di Jobs, ma il suo rapporto con i media sembra essersi intensificato gradualmente dopo la di lui scomparsa.
Il grande exploit è avvenuto all’inizio del 2021 quando ha usato Twitter, dove già era stra-seguito per un endorsement in favore di un altro social, quasi per niente conosciuto da noi ma molto usato oltre oceano, Reddit. In particolare Elon Musk ha incoraggiato gli acquisti con un tweet in cui segnalava il canale degli investitori amatoriali Wallstreetbets. Questo gruppo di incursori azionari ha provocato un volume significativo di messaggi e meme volti a spingere per comprare azioni di GameStop scoprendo che l’operazione ha funzionato in men che non si dica. A questo punto ecco entrare in campo anche Elon Musk decisamente divertito ad incoraggiare gli acquisti sui social. Bersaglio di queste operazioni in stile Robin Hood la sempre più evidente pantomima del denaro di fatto usato in maniera spudorata dai grossi fondi e dalle principali banche di investimento. È stato un po’ come per i primi tempi delle criptovalute poi digerite e catabolizzate dal sistema come il caso di apertura della prima parte di questi articoli.
Però Musk è andato oltre cominciando a prendere il giro il mondo dei media e in particolare dei social media, trattandoli da pecoroni e mostrando nel contempo quanto rapidamente il mercato azionario cadesse nelle sue trappole e quindi la sua ridicola credibilità. E allora perché non sparare 43 miliardi per Twitter? Ma andiamo per ordine.
Pochi giorni dopo essere stato eletto “Persona dell’anno” dalla rivista TIME jobs ha ringraziato il circo mediatico con questo tweet: “Sto pensando di lasciare il mio lavoro e diventare un influencer a tempo pieno, cosa ne pensate?”
thinking of quitting my jobs & becoming an influencer full-time wdyt
— Elon Musk (@elonmusk) December 10, 2021
Sempre rivolgendosi ai suoi followers ha chiesto se avrebbe fatto bene a donare il 10% delle sue azioni di Tesla e quando il 60% degli utenti aveva risposto di essere d’accordo ha iniziato a cedere un po’ di quote, facendo però crollare il titolo dell’azienda in borsa. Ma lui non ci ha fatto gran che caso. E ancora, dopo l’exploit di diventare influencer Elon Musk ha cambiato la sua bio in “venditore di profumi” con il risultato di riuscire a vendere in soli due giorni 20mila bottigliette della fragranza “Burnt Hair”, vale a dire “Capelli Bruciati”, al costo di 100 dollari ciascuna. Il profumo è stato presentato come “l’essenza del desiderio ripugnante”.
Un po’ di giorni dopo eccolo ancora sputare in faccia ai social un’ulteriore perturbazione: “Next I’m buying Coca-Cola to put the cocaine back in”, ovvero afferma che il suo prossimo passo sia quello di voler acquistare l’azienda Coca-Cola, per poter rimettere all’interno della famosissima bevanda la cocaina come avveniva ai primi tempi della produzione.
Elon Musk è indubbiamente uno che twitta tantissimo: circa 5mila cinguettii l’anno, secondo il Wall Street Journal di qualche tempo fa, e l’impennata è avvenuta fra 2015 e 2016 in occasione del lancio di alcune auto di Tesla, e soprattutto lo fa in modo che quasi il 75% dei suoi tweet sono reply ai cinguettii di qualcun altro (cosa che quasi nessun influencer si sporca le mani a fare), anche a perfetti sconosciuti, usando un linguaggio semplice e colloquiale, spesso scherzando o scrivendo sciocchezze che poi magari gli si ritorcono contro.
Ecco alcuni esempi: nel 2015, twitta che “le voci secondo cui sto costruendo un’astronave per tornare su Marte, il mio pianeta natale, sono prive di fondamento”.
Mentre uno dei suoi razzi tenta il rientro sulla Terra promette che “se questa cosa riesce, mi regalo una Tana del Vulcano”: il riferimento è al rifugio del perfido Dr. Male nel film Austin Powers. Questa veste diabolica di maligno il cattivo dei social sembra non aver mai smesso di piacergli: “Un assaggio di vino rosso, un disco vintage, un po’ di Ambien… ed è subito magia” (l’Ambien è un sonnifero molto diffuso negli Usa).
When the zombie apocalypse happens, you’ll be glad you bought a flamethrower. Works against hordes of the undead or your money back!
— Elon Musk (@elonmusk) January 28, 2018
Il 2018 è l’anno dell’apocalisse zombie e la Boring Company (un’altra delle sue aziende) presenta un prototipo di un lanciafiamme, che li combatterebbe con efficacia: “Quando arriverà il momento, sarai felice di averlo comprato. Potrai sterminarli in massa, o ti ridiamo i soldi indietro”. Poco dopo, la scherzosa retromarcia: “Quest’idea che io stia lavorando per dare vita a un’apocalisse zombie e fare crescere la domanda dei lanciafiamme è priva di fondamento”.
Per il Pesce d’Aprile twitta che Tesla è in bancarotta facendosi fotografare svenuto accanto a una delle sue auto. In Borsa la compagnia perde il 7% del suo valore. In seguito rincara la dose affermando di star pensando di privatizzare Tesla e toglierla dal mercato azionario, finendo però sotto indagine della Sec (la Consob americana) e a pagare una multa di 20 milioni di dollari.
Am considering taking Tesla private at $420. Funding secured.
— Elon Musk (@elonmusk) August 7, 2018
Annuncia in seguito il sostegno economico ad un gruppo musicale che lotta contro l’Fbi e il software di riconoscimento facciale: “Comprerò tonnellate del vostro merchandising”, ma poi è costretto a scusarsi per aver dato pubblicamente del pedofilo al sommozzatore britannico che si era offerto di salvare 12 giovani calciatori thailandesi rimasti intrappolati in una grotta sotterranea: è uno dei pochi tweet che ha dovuto cancellare.
Nel 2019 cinguetta “bombardiamo Marte!”, con il fine di riscaldare il Pianeta Rosso colpendolo ai poli con ordigni termonucleari; sul negozio online di SpaceX la maglietta Nuke Mars è ancora in vendita e costa 30 dollari.
In tempi di COVID ha elogiato le scelte della Svezia, ha litigato pesantemente con Bill Gates integrando poi la cosa con un divertente “le voci secondo cui io e Bill siamo amanti sono totalmente infondate”.
Ha pubblicato una foto della Luna accompagnata dalla scritta “Occupiamo Marte”; ha dato “tutto il mio sostegno” al rapper Kanye West quando si è candidato alla presidenza degli Stati Uniti; ha scritto: “secondo me il prezzo delle nostre azioni [Tesla] è troppo alto”.
Il 2021 è l’anno del suo debutto su Clubhouse, divenuto febbrilmente celebre in men che non si dica per poi cadere nel dimenticatoio, e dei tanti tweet sulle criptomonete, da Bitcoin e Dogecoin, fatte sprofondare o salire di valore a seconda che le criticasse o le esaltasse.
Già più serie sono le boutades come quando è detto pronto a dare all’Onu 6 miliardi di dollari per sconfiggere la fame nel mondo, ma con un vincolo che è una bomba a orologeria: l’Onu dovrà dimostrare intanto come quel denaro risolverà davvero il problema e, sta qui il punto di crisi, dovrà rendere pubbliche le spese giustificando le spese dollaro per dollaro con un sistema di contabilità open source in cui tutti i cittadini del mondo potessero verificare centesimo dopo centesimo come vengono spesi i soldi.
Insomma, sembra dire Musk, che farsene dei soldi se non ti permettono di divertirti “ai confini della realtà”? Tutto questo prima di invischiarsi nell’affaire Twitter.
L’incredibile Twitter
Il 2020 fu l’anno dell’esplosione del COVID e con esso il ritorno in voga della censura. Non quella verso il porno, ma quella verso le proprietà e la pretesa di libertà. I cavalieri di questa schifosa restaurazione sono presto diventati i media. Gente compromessa per la manipolazione delle elezioni e il calpestio di ogni diritto della privacy si sono sentiti in diritto di oscurare account, sospenderne altri, cancellare post senza in alcun modo sentirsi in dovere di offrire spiegazioni. Con buona pace di utenti singoli come il sottoscritto che ben presto ha rimosso radicalmente sul sito il proprio account WhatsApp e ha smesso definitivamente da allora di utilizzare Facebook e LinkedIn (Twitter già lo usavo molto poco) decidendo di essere presente UNICAMENTE SU TELEGRAM E SU WORDPRESS, per alcuni soggetti, soprattutto chi lavora con le notizie o con il proprio branding si è trattato di un vero e proprio ricatto: se non le condividevi su Facebook (per non citare la tagliola di Google) le tue notizie non le guardava più nessuno. Fu poi la volta delle fake news e dei fact checker spesso vere le prime e false quelle dei secondi. E allora, viva Elon Musk!
A questo proposito il fatto determinante fu l’attacco del 6 gennaio 2021 svoltosi al Campidoglio ultimamente aggravato dall’invasione dell’FBI nella casa di Trump con il sequestro dei suoi documenti. Che fosse Trump ad organizzare la marcia direi che c’è ben poca credibilità, mentre è indubbio il costante supporto dei social, primo fra tutti proprio Twitter, per ogni tweet e per ogni occasione per attaccare, squalificare, insultare quello che in quel momento era il presidente dello Stato con maggior potere al mondo. Ora che il presidente ha dimostrato in più occasioni di dar prova di scarsa presenza mentale (sforzo notevolmente la mia propensione enfatica) non si vede quasi nulla. L’evidente endorsement molto più clintoniano (i veri burattinai del volto presidenziale) che dem – e mai di certo minimamente liberal — si può immaginare abbiano fatto un giorno imbufalire il nostro Musk. “Ma come possono permettersi questi despoti della mutua di bannare un Presidente della Repubblica? Chi si credono di essere?”. Da qui all’ “Allora io vi compro in un battibaleno”. Poi forse se n’è pentito ma era già tardi: aveva sfidato l’establishment bancario-clintoniano. E allora, visto che la frittata è fatta, tanto vale giocarsela fino in fondo. Posti come Twitter erano macilente anagrafi di migliaia d’imbucati politici partigiani. Come si può fare a separare il grano dalla paglia? Tanto vale licenziarli quasi tutti per domandarsi solo dopo quali avrebbe avuto senso riprendere. Di certo fra le prime a cadere fu la rappresentante degli affari legali, una delle principali portavoce dell’ancient regime. E poi tutte le dirigenze.
Una sveglia ai burocrati che arriva dall’imprenditore è quella di dimenticarsi il posto fisso perché protetto dalla politica. Subito ha fatto presente che Twitter è un’azienda che in questo momento non naviga in buone acque e che quindi rischia da un giorno all’altro la bancarotta. Da quando è arrivato, Musk ha ridisegnato le politiche di Twitter per i suoi dipendenti, chiedendo loro di fare turni di 12 ore e ribadendo alla riunione di tutti i dipendenti che tutti devono lavorare da un ufficio o andarsene.
Musk è consapevole che non può di punto in bianco rendere Twitter un servizio ad esclusivo pagamento e allora si inventa la spunta blu, il sistema attraverso cui poter autenticare l’identità di taluni profili. Se tale certificazione era originariamente condizionata dalla discrezione editoriale del portale, l’avvento di Musk ha fatto sì che chiunque potesse verificare il proprio account, a patto che il soggetto in questione sia dotato di un Apple ID e versi un abbonamento da 7,99 dollari mensili.
A questo punto si sono moltiplicati i profili “Elon Musk” e lui, nonostante si fosse autoproclamato “assolutista della libertà di parola”, ha subito reagito sospendendo immediatamente coloro colpevoli di canzonarlo, introducendo una nuova regola per cui gli account che si fregiano di intenti parodistici non dichiarati siano degni di censura.
Chi di spada ferisce… dice il proverbio che ben si addice al satirico Musk il cui Twitter a questo punto ha vosto esplodere account e Tweet al vetriolo:
“Mi manca uccidere iracheni”, sosteneva un account attribuito all’ex-Presidente USA George W. Bush mentre, parallelamente, un sedicente LeBron James, star del basketball, annunciava la richiesta di trasferimento a una squadra ignota.
L’account fasullo @EliLillyandCo affermava che tale industria avrebbe reso libera e gratuita la distribuzione dell’insulina sul mercato statunitense. Una notizia fenomenale per l’umanità, ma non per la speculazione finanziaria: a Wall Street il titolo è crollato immediatamente, perdendo sul momento miliardi di dollari che sta ora faticando a recuperare. Scena simile anche per l’industria bellica della Lockheed Martin che avrebbe espresso la falsa intenzione di sospendere la vendita di armi all’Arabia Saudita, a Israele e agli Stati Uniti fintanto che non fossero chiarite alcuni aree oscure sul come queste nazioni gestiscono i diritti umani.
Siamo arrivati addirittura ad avere account, ricordiamolo!, sempre certificati di Satana e perfino di Gesù Cristo.
https://t.co/tdNpXedonBhttps://t.co/yVRPVRvJeU
just some references 🤣
— Satan (@s8nstan) November 11, 2022
«Dobbiamo decisamente ottenere più soldi di quanti non ne spendiamo», avrebbe dichiarato ai suoi nuovi dipendenti Musk stando a quanto riportato da The Verge. «Se non lo facciamo e si verificasse una gigantesca uscita in negativo, la bancarotta non sarebbe fuori questione. Questa è la priorità». Nel frattempo, gli inserzionisti colgono l’occasione per sospendere gli investimenti.
Insomma, mentre una parte di Twitter starebbe riconquistando un profilo liberal degno dei primi tempi dell’Internet, quelli in cui era garantita dall’Electronic Frontier Foundation, la solvibilità finanziaria sarebbe minacciata proprio da quel sistema che Musk poteva permettersi di irridere quando a pagarlo era il sistema stesso.
Ora Elon è talmente preso da Twitter da perdere di vista addirittura Tesla alcuni dei quali azionisti intentano azioni legali.
Scrive Luca de Biase nel suo blog: «Il sistema dei media è complesso. Tutti gli elementi sono collegati a tutti gli altri in modo diretto e indiretto. Persone e macchine, interfacce e algoritmi, strutture e mode, coevolvono. In modo che qualsiasi convinzione che una certa mossa sia sicuramente – e linearmente – accompagnata da una certa conseguenza rischia di rivelarsi sbagliata e controproducente. In realtà, i media funzionano come un ecosistema. E per leggere la prospettiva in evoluzione dei media, occorre imparare dall’esperienza di chi studia ecologia. Il nuovo inizio di Twitter per ora non è stato altro che una raccolta di pasticci. Ma il nuovo proprietario Elon Musk e i suoi consiglieri potrebbero cogliere un’opportunità insperata per ripensare il servizio in modo coerente con regole e scopi attentamente studiati che siano veramente orientati ai diritti umani. Stiamo parlando del nuovo paradigma normativo deciso dalla Commissione Europea che diventerà l’ambiente legale fondamentale per il digitale, probabilmente non solo europeo. È entrata in vigore la legge sui servizi digitali. È il nuovo regolamento europeo pensato per guidare i servizi digitali verso un maggiore rispetto dei diritti dei cittadini, una maggiore sicurezza delle attività online e una più chiara definizione delle responsabilità dei grandi operatori. Il mondo dei servizi Internet ha goduto della massima deregulation decisa ai tempi di Bill Clinton e Al Gore alla Casa Bianca. Ma nel tempo quella libertà di azione ha generato esternalità negative molto potenti: notizie false e incitamento all’odio, truffe e incertezza normativa, eccessive concentrazioni di potere ed elusione fiscale e così via. Twitter potrebbe sfruttare questa innovazione normativa per scrivere strategie più intelligenti e potrebbe essere la prima piattaforma ad adattarsi in modo proattivo al nuovo contesto normativo. Questa sarebbe una strategia vantaggiosa per tutti. E l’idea proclamata di essere un “assolutista della libertà di parola” ha portato Musk a scontrarsi con la scoperta che ci sono altri diritti umani che devono essere rispettati».
Ma veramente il problema è Twitter?
Come abbiamo scritto nella prima parte FaceBook ha perso molto più di Twitter nonostante le città italiane che maggiormente usano Internet, Bologna e Firenze, lo facciano praticamente passando il tempo incollati ai social — leggi FaceBook e dintorni.
Ma perché non ricordare proprio in pieno Black Friday che la santa Amazon subisce una perdita record con una svalutazione di mille miliardi dai massimi. Una cosa finora mai vista né immaginata! E questa non è tanto una spiacevole notizia per Amazon ma un segnale di caduta a picco della credibilità del mercato consumistico.
Secondo Bloomberg, le prime cinque aziende tecnologiche statunitensi per fatturato hanno perso complessivamente quasi 4.000 miliardi di dollari di valore di mercato.
Se a questa sfiducia perfino caricaturale dovessimo aggiungere la sfiducia per il fattore aggregante e la capacità di condivisione e dialogo, non tanto di Twitter, ma di tutti i social media, compreso il “balengario” di Tik Tok, la questione potrebbe avere dei risvolti drammatici. Se “la gente” (non “le persone”) perdono interesse e fiducia in un fenomeno su cui ormai si basano risparmi, istituzioni, comunicazioni e via dicendo vuol dire che le persone perdono interesse per le persone e diventano definitivamente pessimiste nella possibilità del singolo e del gruppo di influenzare il sistema.
Questo sta già avvenendo in gran parte del pianeta che, bontà nostra, ignoriamo e quindi che ci sarebbe di strano se capitasse a noi, soprattutto in un momento in cui il sistema culturale ed economico si sta frammentando quantomeno in due grandi blocchi?
No, il problema non è Twitter ma la stanchezza per il mondo fasullo della virtualità, il Metaverso, da un lato e la costante speranza di essere qualcuno per tutti mentre sei nessuno per quei pochi che potresti conoscere davvero ma che si disinteressano di te.
I profili certificati e fasulli non sono un attacco a Twitter anche se nel farlo credevano di esserlo, sono una drammatica burla al mondo mediatico e a quello dei sei livelli di socialità che non ci hanno mai consentito di arrivare al Papa o a Berlusconi ma hanno tolto dalla strada quei giovani che lì avrebbero potuto protestare per scimmiottare in una riserva indiana digitale.
No, vecchi miei, vi leggo nella mente: non è vero che non li avete mai usati e soprattutto non è vero che si può tornare indietro, al brick and mortar, alla vita nella foresta, agli anni della sincerità e del libero amore!
È come fossimo imbottigliati in quella strada di Seul dove non riesci ad andare avanti e non puoi più tornare indietro: devi inventarti una vita possibile senza spinte in quel posto dove sei, almeno tenendo duro fino a che non torna giorno.
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Intersections raduna a Milano il mondo del marketing, della comunicazione e della creatività
Dall’unione di IAB Forum e IF! Italians Festival nasce Intersections, il più grande evento in Italia dedicato al mondo del marketing, della comunicazione e della creatività che si svolge a Allianz Mico a Milano il 29 ec 30 ottobre 2024.
IAB Italia, ADCI e UNA hanno deciso di realizzare il primo grande evento sistemico per rispondere in modo compatto all’evoluzione e alle sfide della industry in questo particolare momento storico, guidato anche dalla grande discontinuità dell’Intelligenza Artificiale.
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Google è monopolista secondo il Dipartimento di giustizia USA. Ora potrebbe esserci il suo spezzatino
Un documento presentato al giudice federale degli USA Amit Mehta ha portato alla decisione di sanzionare Google per attività monopolistiche. La causa, promossa dal Dipartimento di Giustizia (DOJ) e diversi stati, sostiene che Google abbia usato il proprio potere di mercato in modo anticompetitivo, impedendo ad altre aziende di competere nel settore della ricerca online e dei servizi digitali.
Il giudice Mehta ha valutato le prove contro Google riguardo a vari accordi esclusivi con produttori di dispositivi e sviluppatori di browser che garantiscono a Google di essere il motore di ricerca predefinito su milioni di dispositivi. Questa esclusività ha reso quasi impossibile per i rivali ottenere una significativa quota di mercato, contribuendo a consolidare il monopolio di Google. Il DOJ, insieme agli avvocati generali di diversi stati, ha contestato che Google abbia illegalmente monopolizzato il mercato della ricerca e della pubblicità online attraverso accordi con aziende come Apple e Samsung per mantenere il proprio motore di ricerca come opzione predefinita su diversi dispositivi.
Il cuore dell’accusa riguarda gli “accordi esclusivi” di Google, che hanno portato all’accumulo di circa il 90% delle ricerche online e all’88% del mercato della pubblicità testuale, ostacolando i concorrenti dal punto di vista degli investimenti e dell’innovazione. Il DOJ ha dimostrato che Google paga ingenti somme per diventare il motore di ricerca predefinito, ad esempio su dispositivi Apple, scoraggiando il cambiamento di provider da parte degli utenti e limitando le scelte disponibili al consumatore.
La sentenza non prevede danni economici, ma un’ingiunzione che potrebbe includere misure per impedire a Google di continuare accordi esclusivi di default o addirittura obbligare l’azienda a separare il business della ricerca da altre operazioni come Android e Chrome.
Questo caso rappresenta un passo storico per l’antitrust negli Stati Uniti, simile al processo Microsoft degli anni ‘90, e potrebbe aprire la strada a nuove regolamentazioni per altri giganti della tecnologia, tra cui Apple e Amazon, anch’essi sotto scrutinio legale per pratiche anti-competitive.
Un team legale specializzato del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ), affiancato da esperti in regolamentazione antitrust e tecnologia, sta lavorando a una serie di raccomandazioni per il giudice federale Amit Mehta. La proposta del DOJ include sia rimedi comportamentali che strutturali per affrontare l’impatto monopolistico di Google. I rimedi in valutazione spaziano da restrizioni su accordi preinstallati con produttori di dispositivi, all’accesso dei concorrenti ai dati di ricerca, fino alla potenziale separazione di parti dell’azienda per ripristinare la concorrenza nel settore dividendo Chrome, Google Play Store e il sistema operativo mobile Android dal search.
Questa prima versione delinea una serie di strade per la riforma, tra cui l’obbligo per Google di rendere accessibili i dati e i modelli di programmazione utilizzati per generare risultati tramite il suo motore di ricerca. Il Dipartimento di Giustizia sta anche valutando la possibilità di chiedere al giudice di vietare a Google di utilizzare o conservare i dati che si rifiuta di condividere con società terze.
Google ha dichiarato che intende appellarsi alla decisione, sottolineando che le accuse ignorano i benefici offerti ai consumatori dal loro motore di ricerca. Le fasi successive del processo potrebbero determinare cambiamenti significativi non solo per Google ma per l’intera industria tecnologica, influenzando l’accessibilità e la concorrenza nei mercati digitali anche in Europa e negli altri continenti.
Negli ultimi dieci anni, Google ha accumulato 8,25 miliardi di euro di multe dalle istituzioni antitrust dell’Unione europea che riguardano tra gli altri il suo sistema operativo mobile Android e il servizio pubblicitario AdSense.
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Sabato 26 Ottobre 2024 torna il Linux Day
Sabato 26 Ottobre 2024 torna il Linux Day: la principale manifestazione italiana dedicata al software libero, la cultura aperta ed alla condivisione promosso da Italian Linux Society e supportato da GARR.
Il Linux Day nasce nel 2001 come appuntamento annuale per riunire le forze di tutte le persone attiviste nel movimento del software libero, dell’open source, ed in particolare di Linux. Proponiamo una rete di eventi decentralizzati in tutta Italia, organizzati autonomamente da gruppi di persone volontarie e appassionate. È il più grande evento italiano sul tema con migliaia di visitatori. L’accesso al Linux Day è libero e gratuito.
Il Linux Day di Torino si svolge al Collegio degli Artigianelli in Corso Palestro 14 nel pomeriggio di Sabato 26 Ottobre.
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