Digital Divide
EduHack: il programma destinato a professori e ricercatori universitari che vogliono imparare a utilizzare gli strumenti digitali per produrre nuove esperienze formative
EduHack è un programma destinato a professori e ricercatori universitari che vogliono imparare a utilizzare gli strumenti digitali per produrre nuove esperienze formative, sperimentando strumenti e approcci innovativi. Il progetto è pensato per essere aperto, collaborativo e attivo: incoraggia a usare l’Open Web e le risorse aperte, promuove collaborazione, condivisione e propone un insieme di attività orientate a un approccio creativo all’insegnamento, che abbia come obiettivo un maggior coinvolgimento degli studenti.
Il progetto EduHack, che coinvolge come partner principali il Politecnico di Torino, l’Università Internazionale di La Rioja in Spagna e l’Università di Coventry in Inghilterra, è stato sviluppato grazie a una partnership tra università europee e centri di esperti, con il sostegno della Commissione Europea. L’intero percorso formativo è basato sul framework delle competenze digitali per gli educatori sviluppato dalla Commissione Europea (DigCompEdu), un framework che descrive cosa significa per gli educatori essere digitalmente competenti e che è diventato uno standard effettivo per lo sviluppo professionale.
Il programma EduHack viene sperimentato dai docenti interessati attraverso la creazione di tre percorsi pilota che si terranno rispettivamente in ognuna delle Università partner. Il primo di questi ha preso avvio lo scorso maggio presso l’Università Internazionale di La Rioja mentre il secondo si sta tenendo al Politecnico di Torino e coinvolge circa cinquanta tra ricercatori e professori. I docenti che hanno aderito al progetto provengono, oltre che dal Politecnico, anche dall’Università degli Studi di Genova e dall’Università eCampus. Un terzo percorso pilota avrà luogo all’Università di Conventry nel prossimo mese di giugno.
Il percorso di formazione EduHack al Politecnico si svolge in due fasi. La prima, che va dal 20 gennaio al 28 febbraio, prevede la partecipazione a un corso online aperto e gratuito. Il corso è composto da 19 attività, che comprendono sia una parte teorica che una parte pratica, permettendo così di apprendere la creazione di risorse digitali e al contempo di sviluppare valutazioni critiche degli strumenti online. Durante il corso i partecipanti possono confrontarsi e condividere la propria esperienza attraverso l’EduHack Wall, uno spazio di blogging dove vengono raccolte considerazioni e riflessioni sugli argomenti affrontati.
La seconda fase, in programma al Politecnico il 24 marzo, è costituita dall’EduHackathon: un evento durante il quale si svolgerà una sessione di lavoro in presenza con la creazione di gruppi di studiosi con background differenti, in modo da favorire confronto e collaborazione interdisciplinare. I partecipanti lavoreranno insieme allo sviluppo di progetti e di strumenti che possano migliorare l’attività di insegnamento e l’esperienza di apprendimento negli ambienti digitali.
Parallelamente alla sperimentazione dei percorsi pilota, il progetto sta portando avanti la creazione di una rete di contatti progettata al fine di garantire la sostenibilità e la diffusione degli strumenti e dei servizi proposti. L’EduHack Network è aperto a chiunque voglia sviluppare le proprie competenze digitali e collaborare per migliorare le esperienze educative nell’ambito dell’istruzione superiore.
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ECCO Alessandria Digital Forum dal 25 al 28 maggio
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Il Metaverso è un bluff
Trattandosi di un’accolita di accrocchi e invenzioni, mi guardo bene dal fare di tutta l’erba un fascio, ma voglio scrivere questa breve nota a vantaggio di quanti mi chiedono di cosa si tratti e ancor più di quelli che si manifestano entusiasti come gli indigeni per gli specchietti portati dai conquistadores. La sintesi di quanto segue è che si tratta di un’operazione commerciale per recuperare il successo dei videogiochi nella fantasia fortunatamente per ora ancora patetica di sostituirvi la vita reale con strumenti noti da più di 40 anni e naturalmente da allora molto evoluti e soprattutto compresi che potrebbero avere grande utilità in campi specifici come la medicina, la microtecnica, la sicurezza, l’apprendimento… se il loro costo e le dimensioni dell’apparato che comportano non fossero in molti casi di gran lunga superiori ai servizi di base tradizionali che il più delle volte vengono a meno e con sempre peggiore competenza. Ma adesso andiamo per gradi.
La parola “metaverso” — trovate ovviamente tutto su Wikipedia, specie quello in inglese — deriva dalla fantascienza in quanto contrazione per prefisso greco “meta”, tipico della “metafisica” e del suffisso “verso”, tratto da “universo” in quanto dimensione nella quale hanno luogo tutti i fenomeni. Quando nel ’92 lo scrittore cyberpunk Neal Stephenson lo utilizzò l’idea sottendeva a piani diversi di realtà: non di simulazioni ma proprio di esperienze dimensionali.
In fondo un “metaverso” non è che una categoria più astratta di quella di “multiverso” per la quale non si può dimenticare che era il 1895 quando lo psicologo americano William James la introdusse per rendere d’idea di universi paralleli, idea che venne ripresa poi dallo scrittore di fantascienza statunitense Murray Leinster nel 1934 e in seguito da molti altri, come Jorge Luis Borges, divenendo infine un classico del genere fantastico fino a che negli anni ’80 entrò nel gergo scientifico della fisica teorica in quanto “insieme di universi coesistenti previsto da varie teorie, come quella dell’inflazione eterna di Linde o come quella secondo cui da ogni buco nero esistente nascerebbe un nuovo universo, ideata da Smolin. Le dimensioni parallele sono contemplate anche in tutti i modelli correlati alla teoria delle stringhe” (Wikipedia) che qualsiasi fan della serie TV “Big Bang Theory” dovrebbe conoscere bene.
Molti oggi spacciano il metaverso come una specie di terra utopica alla Tommaso Moro, ma è ben lontana da questo. Intanto è un modo per fare soldi in un territorio ormai troppo sfruttato come quello dell’elettronica e dell’informatica che molto hanno dato e stanno ancora dando ma non come una volta.
I signori del digitale hanno una vera e propria fame di una nuova bolla come quella di Internet degli anni ’90–2000.
È nel 2021 che la premiata ditta di quisquilie nota come Facebook promuove la Meta Platforms Inc. per la quale assume diecimila persone in Europa con la volontà di sviluppare idea e tecnologie di metaverso ribattezzando il vecchio nome della società in “Meta”.
Facebook era già un metaverso a modo suo, anche se la gente reale lo ha sempre usato come una mappa che facilita la comunicazione e le relazioni fra soggetti reali in scenari reali. L’idea dei nostri gambler sarà invece quella di invertire i poli e far sì che il mondo reale finisca per diventare la simulazione di quello che fino ad oggi consideravamo virtuale. Come farlo? Riscoprendo un vecchio accrocco patetico e sfortunato che ha fatto perdere soldi reali a babbioni disposti a fare investimenti fasulli come abitazioni fatte di figurine nel “videogioco” Second Life che ebbe fra i suoi principali promotori IBM stessa.
Sempre Wikipedia corre in aiuto a chi non ci sta capendo più niente sintetizzando nella parola metaverso qualcosa che:
– Si tratta di spazi tridimensionali dove gli utenti si muovono liberamente utilizzando degli avatar; qui si può giocare, creare, lavorare e anche concludere accordi commerciali.
– Il metaverso non è di proprietà delle aziende, ma si tratta di una struttura tecnica condivisa.
– Gli spazi virtuali possono essere creati dagli utenti stessi che li mettono a disposizione di altri utenti.
– Per rendere possibile il collegamento tra lo spazio reale e quello digitale si usano la realtà aumentata e tecnologie di realtà ibride.
– Si possono utilizzare valute virtuali e reali.
– Alla base degli spazi virtuali ci sono degli standard tecnici compatibili, protocolli, l’interoperabilità, la proprietà digitale, la tecnologia blockchain e legislazioni che ne regolano l’uso.
Tutto per i videogiochi
I soldi che Zuckerberg ha messo in Meta li ha già persi, tuttavia è dal mondo delle già discutibili blockchain e di Microsoft stessa che si cerca di forzare la mano per spingere soprattutto le aziende a credere nel metaverso che in questo momento è forte esclusivamente:
1) del potere di calcolo disponibile in rete
2) dello sviluppo importante dei dispositivi di realtà virtuale, primi fra tutti i visori.
Sono pochi tuttavia a ricordare che questi sviluppi non partono né dai media, né dai social, né dalle aziende tradizionali, ma da qualcosa del quale i signori come Zuckerberg si sono accorti quando ormai era diventato un fenomeno di proporzioni mostruosamente galattiche: i videogiochi! Ma non dei videogiochi qualsiasi, ma del cosiddetto netgaming, le comunità che letteralmente vivono simultaneamente in rete immersi in ambienti ludici virtuali per allontanarsi dai quali soffrono più che se dovessero cavar loro un molare. Fra i primi a rendersene conto fu la compagnia di Bezos che ebbe la geniale idea di convertire parte dei propri investimenti in potenza di calcolo e di memoria dalla clientela aziendale a quella del gioco in rete acquisendo la piattaforma Twitch nata nel 2011 e acchiappata solo 3 anni dopo per meno di un miliardo di dollari (altro che i 43 di Musk per Twitter!).
Ora ci stanno provando tutti, da Facebook-Meta, ovviamente, fino a Google, Apple e Netflix, ma gli unici a competere con Twitch, seppure in un’altra cultura, sono i cinesi con le loro Huya Live , DouYu, Bilibili e altre ancora.
Queste piattaforme di streaming hanno generato, assieme ad un epocale successo, tanti effetti devastanti, dalla dipendenza all’assuefazione, dalla violazione dei copyright, alla pornografia, la propaganda nazista e quella di odio razziale, sia anti islamico, che antiebraico, ai giochi d’azzardo online favoriti dall’utilizzo delle criptovalute, fino alla vera e propria mafia e malavita in genere.
Conclusione
Se pensate che il multiverso sia un mondo ideale non dimenticate che gli scopi dell’umanità sono sempre gli stessi e che questa logica è idealizzata anche dai sostenitori della singularity, come i transumanisti del Word Economic Forum. E, se è già quasi impossibile contenere la malavita e le guerre agendo nel mondo reale, sarà definitivamente impossibile farlo quando l’essere umano non sarà altro che una larva dentro un qualche metaverso fatto dei suoi videogiochi e videomondi. Questo probabilmente solo per chi può, in quanto non è da sottovalutare che non tutti — anzi, ben pochi — potranno permettersi gli astronomici costi dei dispositivi e degli abbonamenti necessari per farlo, ovvero per evitare di guardare il disastro che si è creato intorno a loro in quel metaverso che chiamavamo “mondo reale”.
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