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Per i 20 anni di Irion presentata una ricerca su qualità dei dati, aziende e IA

L’Intelligenza Artificiale sta cambiando il mondo del lavoro, diventando rapidamente un vantaggio competitivo che aiuta le aziende a migliorare la loro efficienza, ridurre i costi e aumentare la produttività.

Tuttavia, un elemento che viene spesso lasciato in secondo piano è l’importanza dei dati sui quali l’IA si basa per fornire i propri risultati. Come rilevato dall’indagine svolta per Irion, azienda italiana di Enterprise Data Management, dall’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano , circa 3 aziende su 4 (74%) non sono pronte a implementare tecnologie di IA a causa della mancanza di programmi di data management avanzato. In particolare, solo il 15% delle medie imprese può essere definito AI-ready, mentre il dato sale al 32% quando si guarda alle grandi imprese.

La ricerca, presentata in occasione della celebrazione dei 20 anni di Irion, evidenzia che la qualità dei dati è fondamentale per permettere la corretta implementazione dell’IA: solo grazie a informazioni corrette è possibile “addestrare” gli algoritmi in base alle proprie esigenze, ottenendo risultati utili, affidabili e di valore. Gartner stima che la scarsa qualità dei dati rappresenti un costo medio di 10,8 milioni di dollari all’anno per organizzazione, cifra che potrebbe aumentare con la maggiore diffusione della digitalizzazione. Una perdita che deriva generalmente da “spreco” di risorse per la pulizia e la correzione dei dati, analisi inaccurate che portano a decisioni errate, opportunità mancate a causa di insight inaffidabili. Infatti, dalla ricerca emerge che solo 1 realtà su 5 ha la consapevolezza che la scarsa Data Quality ha rappresentato direttamente un costo per l’azienda (ad esempio: danni reputazionali, errori nella gestione di processi, inefficienze, costi di compliance); questo dato aumenta in riferimento alle imprese che hanno già avviato progettualità avanzate di intelligenza artificiale (“AI-ready”) arrivando al 41%.

Da un punto di vista di adozione della tecnologia, se è evidente che il Data Management stia acquistando sempre più valore per il proprio business, si registra che solo 2 aziende su 10 nel 2024 hanno dedicato un budget superiore (di almeno il 3%) a quello allocato nel 2023; anno in cui le aziende italiane hanno investito in infrastrutture, software e servizi per la gestione e analisi dei dati ben 2,85 miliardi di euro, un aumento del 18% rispetto al 2022 .
La consapevolezza dell’importanza della corretta gestione dei dati si sta comunque diffondendo; solo la metà delle aziende italiane, a oggi, ha iniziato ad adottare programmi di Data Management per valorizzare i propri dati (il 38% di queste sono medie imprese, il 60% sono grandi aziende), ma il percorso di adozione di tecnologie e processi efficaci è ancora lento (solo il 30% delle aziende ha a oggi tecnologie e processi adeguati).

Il tema dell’Intelligenza Artificiale è sempre più rilevante anche a livello mediatico. Sempre secondo la ricerca Irion-Politecnico, oltre il 30% delle aziende afferma che la maggiore attenzione dei media sul tema ha avuto un impatto positivo sui processi di gestione del proprio patrimonio informativo. Con l’aumento dell’attenzione al tema sono nate azioni concrete per favorire la transizione verso questa nuova tecnologia, sia in fase puramente sperimentale che in fase operativa. Per trasformare l’hype sull’IA in benefici concreti, è necessario lavorare sull’integrazione e sulla qualità dei dati; le aziende più interessate al tema sono anche le più consapevoli dell’impatto di una buona gestione dei dati sul proprio business.

Le aziende più avanzate sulle attività di analisi si sono mosse per mitigare le problematiche di data quality con tecnologie e competenze dedicate e riescono a percepire maggiormente il valore di una buona gestione dei dati. Le barriere critiche percepite dalle aziende per l’adozione di programmi di IA sono l’integrazione dei dati (83%), la loro pulizia e preparazione (78%) e la scarsa qualità (64%). Un’altra problematica che si presenta con maggiore frequenza è la presenza di dati incompleti, spesso generata da fusioni tra aziende o causata da dati analogici (o addirittura processi ancora cartacei) nello storico dell’azienda, che non permettono la corretta fruizione dell’informazione.

Per poter integrare sistemi di Intelligenza Artificiale all’interno delle aziende è necessario avvalersi di personale qualificato in grado di preparare e validare i dati per alimentare i programmi di IA. Le competenze per garantire la qualità dei dati sono sempre più rilevanti. Per questo, negli ultimi tre anni, circa 2 aziende su 10 hanno incrementato il numero di figure totalmente dedicate alla gestione dei dati. Questo numero cresce a circa 4 aziende su 10 quando si parla di imprese “AI-ready”. Tali aziende mostrano maggior capacità e volontà di investire sul Data Management, anche in termini di risorse umane.


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IT-Wallett: dal 4 dicembre 2024 i cittadini possono caricare sulla App IO carta di identità, patente di guida e tessera Sanitaria

Dal 4 dicembre 2024 tutti i cittadini potranno attivare la Carta di identità elettronica, Patente di guida e Tessera Sanitaria sulla app IO del proprio smartphone .

I Documenti personali identificativi presenti su IO hanno lo stesso valore legale dei documenti rilasciati su card o in forma cartacea. Si possono usare facilmente in contesti di verifica dal vivo e, quando possibile, anche online.

L’attivazione dei Documenti personali su IO avviene autenticandosi con SPID o CIE.


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Intersections raduna a Milano il mondo del marketing, della comunicazione e della creatività

Dall’unione di IAB Forum e IF! Italians Festival nasce Intersections, il più grande evento in Italia dedicato al mondo del marketing, della comunicazione e della creatività che si svolge a Allianz Mico a Milano il 29 ec 30 ottobre 2024.

IAB Italia, ADCI e UNA hanno deciso di realizzare il primo grande evento sistemico per rispondere in modo compatto all’evoluzione e alle sfide della industry in questo particolare momento storico, guidato anche dalla grande discontinuità dell’Intelligenza Artificiale.


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Google è monopolista secondo il Dipartimento di giustizia USA. Ora potrebbe esserci il suo spezzatino

Un documento presentato al giudice federale degli USA Amit Mehta ha portato alla decisione di sanzionare Google per attività monopolistiche. La causa, promossa dal Dipartimento di Giustizia (DOJ) e diversi stati, sostiene che Google abbia usato il proprio potere di mercato in modo anticompetitivo, impedendo ad altre aziende di competere nel settore della ricerca online e dei servizi digitali.

Il giudice Mehta ha valutato le prove contro Google riguardo a vari accordi esclusivi con produttori di dispositivi e sviluppatori di browser che garantiscono a Google di essere il motore di ricerca predefinito su milioni di dispositivi. Questa esclusività ha reso quasi impossibile per i rivali ottenere una significativa quota di mercato, contribuendo a consolidare il monopolio di Google. Il DOJ, insieme agli avvocati generali di diversi stati, ha contestato che Google abbia illegalmente monopolizzato il mercato della ricerca e della pubblicità online attraverso accordi con aziende come Apple e Samsung per mantenere il proprio motore di ricerca come opzione predefinita su diversi dispositivi.

Il cuore dell’accusa riguarda gli “accordi esclusivi” di Google, che hanno portato all’accumulo di circa il 90% delle ricerche online e all’88% del mercato della pubblicità testuale, ostacolando i concorrenti dal punto di vista degli investimenti e dell’innovazione. Il DOJ ha dimostrato che Google paga ingenti somme per diventare il motore di ricerca predefinito, ad esempio su dispositivi Apple, scoraggiando il cambiamento di provider da parte degli utenti e limitando le scelte disponibili al consumatore.

La sentenza non prevede danni economici, ma un’ingiunzione che potrebbe includere misure per impedire a Google di continuare accordi esclusivi di default o addirittura obbligare l’azienda a separare il business della ricerca da altre operazioni come Android e Chrome.

Questo caso rappresenta un passo storico per l’antitrust negli Stati Uniti, simile al processo Microsoft degli anni ‘90, e potrebbe aprire la strada a nuove regolamentazioni per altri giganti della tecnologia, tra cui Apple e Amazon, anch’essi sotto scrutinio legale per pratiche anti-competitive.

Il Governo ha raccomandato che Google deve cambiare il suo modello per riaprire il mercato dei motori di ricerca e dei servizi digitali alla concorrenza con possibili cambiamenti strutturali, un termine che molti osservatori intendono con una scissione ovvero con uno spezzatino.

Un team legale specializzato del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ), affiancato da esperti in regolamentazione antitrust e tecnologia, sta lavorando a una serie di raccomandazioni per il giudice federale Amit Mehta. La proposta del DOJ include sia rimedi comportamentali che strutturali per affrontare l’impatto monopolistico di Google. I rimedi in valutazione spaziano da restrizioni su accordi preinstallati con produttori di dispositivi, all’accesso dei concorrenti ai dati di ricerca, fino alla potenziale separazione di parti dell’azienda per ripristinare la concorrenza nel settore dividendo Chrome, Google Play Store e il sistema operativo mobile Android dal search.

Questa prima versione delinea una serie di strade per la riforma, tra cui l’obbligo per Google di rendere accessibili i dati e i modelli di programmazione utilizzati per generare risultati tramite il suo motore di ricerca. Il Dipartimento di Giustizia sta anche valutando la possibilità di chiedere al giudice di vietare a Google di utilizzare o conservare i dati che si rifiuta di condividere con società terze.

Google ha dichiarato che intende appellarsi alla decisione, sottolineando che le accuse ignorano i benefici offerti ai consumatori dal loro motore di ricerca. Le fasi successive del processo potrebbero determinare cambiamenti significativi non solo per Google ma per l’intera industria tecnologica, influenzando l’accessibilità e la concorrenza nei mercati digitali anche in Europa e negli altri continenti.

Negli ultimi dieci anni, Google ha accumulato 8,25 miliardi di euro di multe dalle istituzioni antitrust dell’Unione europea che  riguardano tra gli altri il suo sistema operativo mobile Android e il servizio pubblicitario AdSense.


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