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La scelta fra Assange e Google

c:/> 09 Dai Big digitali nuovi sostanziosi gettiti finanziari per il fact-checking pilotato dal controllo politico internazionale

Mentre nonostante abbiano atteso più di un decennio, oggi la stragrande maggioranza della stampa internazionale e anche la nazione brasiliana si sta schierando contro la persecuzione in corso da parte degli USA nei confronti di Julian Assange, e lo fa con una formale lettera di protesta al governo degli Stati Uniti d’America per chiedere la fine delle persecuzioni giudiziarie, il nuovo monopolio dell’informazione digitale si muove nel senso opposto, ovvero verso una implicita censura verso tutto quello che non sia a loro insindacabile arbitrio contrario al politically correct.

“Ottenere e divulgare informazioni sensibili quando è necessario nell’interesse pubblico è una parte fondamentale del lavoro quotidiano dei giornalisti. Se questo lavoro viene criminalizzato, il nostro discorso pubblico e le nostre democrazie sono resi significativamente più deboli”: questo il testo riportato da New York Times, Le Monde, The Guardian, Der Spiegel ed El País. Testate italiane? Non pervenute!

In compenso Google e YouTube hanno annunciato, infatti, una sovvenzione di 13,2 milioni di dollari per l’International Fact-Checking Network rinforzando la battaglia che da qualche tempo si sta combattendo fra i principali social media di cui abbiamo già scritto. Ad avere in mano la patata non si espongono certo ad essere quelli di Alphabet ma una società dietro le quinte, la Poyntner, scuola di giornalismo no-profit con sede a St. Petersburg in Florida che distribuisce le regalie che riceve da “innocui e imparziali sovvenzionatori” come appunto “Aphabet” ad una rete di 135 organizzazioni di fact-checking in 65 nazioni che coprono oltre ottanta lingue.

Se vogliamo capire di che cosa si tratta e perché si stia verificando proprio in questi giorni occorre ricordare che tutto è iniziato a partire dagli stati di polizia pandemici aa sostegno dell’imposizione vaccinale delle Big Pharma per proseguire poi con la guerra in Ucraina. È evidente come le corporation mediatiche digitali — alla faccia di chi ha il coraggio di dare del dittatore a Musk, o perlomeno soltanto a lui — si stiano definitivamente armando per scendere in campo con tutto quello di cui si ritengono capaci per influenzare le masse e plasmare gli eventi, creando il consenso a tutti i costi seguendo la ben nota scuola Hearst.

Google allunga poi i suoi potenti tentacoli nelle scuole e nelle biblioteche fino a fondare la Google Safety Engineering Center for Content Responsibility (GSEC) a Dublino concepito come «un punto di riferimento regionale per gli esperti Google impegnati a contrastare la diffusione di contenuti illegali e dannosi, nonché un luogo in cui possiamo collaborare con legislatori, ricercatori e autorità nell’ambito della regolamentazione».

“Nello specifico, Google sta operando soprattutto nell’Europa centrale e orientale, attraverso finanziamenti di 2,5 milioni di dollari a TechSoup Europe con l’obiettivo di aiutare le ONG a combattere la disinformazione e di supportare Demagog – sito che controlla la veridicità delle affermazioni dei politici cechi e dei contenuti popolari sui social network – «nella costruzione del suo ecosistema di verifica dei fatti in tutta la regione». YouTube ha lanciato, invece, un’iniziativa di «alfabetizzazione mediatica», chiamata Hit Pause, per «aiutare le persone a valutare i contenuti che guardano e condividono fornendo suggerimenti sull’identificazione delle diverse tattiche di manipolazione utilizzate per diffondere disinformazione». Quest’ultima iniziativa verrà estesa in tutta Europa nei prossimi mesi. Inoltre, Jigsaw – una squadra all’interno di Google che sviluppa ricerca e tecnologia per contrastare i danni online – ha recentemente distribuito una serie di video prebunking come tattica preventiva per aiutare a contrastare le narrazioni anti-rifugiati in tutta l’Europa centrale e orientale” (L’Indipendente).

Sicuramente uno dei primi obiettivi di questi censori con l’aureola demoKratiKa sarà quello di condannare:

  • la libera gestione della salute personale e familiare
  • la denuncia delle manovre di “normalizzazione” e controllo sociale di Klaus Schwab e del suo Great Reset (peraltro da lui stesso vergato nero su bianco) qualificate come complottismo paranoico, reazionario, terroristico ed anti democratico.

Da qui all’oscuramento, o all’equipollente derubricazione dai database dei motori di ricerca, il passo direi che sarà breve.


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Revolut apre una filiale italiana e offre un conto corrente con un Iban italiano

Revolut apre una succursale in Italia che offre ai nuovi clienti un conto corrente con un Iban italiano. I clienti vecchi potranno fare il passaggio dall IBAN estero a quello italiano a partire dal 2025.  Si tratta di una novità che consentirà di utilizzare il conto Revolut come conto principale evitando così i problemi riscontrati con l’Iban straniero dato che fino ad oggi, i clienti italiani di Revolut disponevano di un Iban lituano.

Revolut ha deciso di lanciare il conto corrente con iban italiano per i nuovi clienti evitando così l’iban discrimination  condannata dall’Unione europea come pratica scorretta.

Con questo cambiamento, il conto Revolut potrà essere utilizzato come un vero e proprio conto principale.  Un altro vantaggio offerto dall’Iban italiano consiste nella possibilità che Revolut svolga in futuro il ruolo di sostituto d’imposta.

I tre milioni di clienti attuali di Revolut  potranno scegliere da gennaio 2025 la migrazione del cont verso un Iban italiano o mantenere l’attuale Iban. Non sarà necessario sostituire le carte di pagamento già emesse, che resteranno valide.

Revolut è una piattaforma finanziaria digitale che offre una serie di servizi bancari e finanziari attraverso un’app mobile. Fondata nel 2015, la società si è rapidamente affermata come uno degli strumenti più popolari per gestire il denaro in modo flessibile e conveniente, soprattutto per chi viaggia o ha esigenze bancarie internazionali.  Revolut si distingue anche per la sua interfaccia facile da usare e per il fatto che non è legata a una banca tradizionale, permettendo quindi costi inferiori per i suoi servizi.


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Digitale

Stefano Giordano è il nuovo Presidente di Internet Society Italia

Stefano Giordano è il nuovo Presidente di Internet Society Italia che ha preso ufficialmente il posto di Alessandro Berni, che nella funzione di Presidente onorario assicura all’Associazione continuità di impegno.

L’Assemblea dei soci ha nominato il nuovo Consiglio composto dal Presidente e 8 da Consiglieri.

Tra i Consiglieri, accanto a Laura Abba, Angelo Alù, Michele Amodeo, Vittorio Bertola, Federica Giaquinta e Ermann Ripepi, che conservano le rispettive cariche, le novità rispetto al precedente triennio sono Valeria Cantarella e Anna Pisterzi.


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TikTok rischia di essere espulso dagli USA se ByteDance non cederà la sua proprietà

tiktok

TikTok ha perso il ricorso presso la Corte d’Appello di Washington contro la legge firmata ad aprile dal presidente Joe Biden, che impone il divieto della piattaforma negli Stati Uniti a meno che la società cinese ByteDance, che la controlla, non venda la sua partecipazione entro il 19 gennaio.

La Corte d’Appello ha dato ragione al Dipartimento di Giustizia, dichiarando costituzionale la misura che conferisce al governo statunitense il potere di vietare TikTok per motivi di sicurezza nazionale. Il timore è che la piattaforma possa essere utilizzata dal governo cinese per raccogliere dati sugli utenti americani o influenzare l’opinione pubblica.

La scadenza del 19 gennaio coincide con la vigilia dell’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, che durante il suo primo mandato aveva sostenuto il divieto, ma durante la sua campagna elettorale ha promesso di “salvare TikTok”. La piattaforma aveva argomentato davanti alla Corte d’Appello che il divieto violava il diritto di espressione dei suoi utenti statunitensi – circa 150 milioni – tutelato dal Primo Emendamento.

Nella loro sentenza, i giudici hanno stabilito che la legge firmata da Biden “non viola il Primo Emendamento” e che il governo sta agendo per proteggere gli Stati Uniti da una “minaccia straniera”, respingendo così il ricorso presentato a maggio da TikTok e dai suoi creatori di contenuti.


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