Futuri possibili
La bolla che verrà (parte prima)
c:\>06 Da Musk a Zuckerberg fino a FTX, ci sono tutti i segnali che qualcosa sta cambiando nel mondo digitale
Il sogno dell’innovazione eterna sta per essere infranto da molti segnali, fra i quali la crisi energetica conseguente all’aumento di volumi dell’industria delle armi, e le delusioni delle grandi promesse ingegneristiche (si pensi al recente abbandono di IperLoop e altro da parte del magnate Sir Branson di Virgin). Nel suo percorso lascerà sulla strada più homeless e cadaveri del bluff degli yuppies degli anni ’90 e della crisi dei subprime degli anni ’90. Fra loro è possibile ci siano molti di noi che ancora crediamo — spesso mentendo il contrario — ai social media che in questo momento stanno aprendo le danze. Sicuramente a gridare che il re è nudo è il solito Elon Musk che mischia pirateria e rivoluzione prendendo in giro il sistema e ognuno di noi pur senza alla fine rischiare mai di uscire dal gioco. Di lui parleremo nella prossima e ultima parte.
Il sogno infranto della valuta libera (Parte prima)
Lo speculatore vicino alle lobbies ebraiche Samuel Bankman-Fried noto anche con le sue iniziali SBF , ex CEO di FTX , uno scambiatore di criptovalute ha vissuto una crisi di solvibilità alla fine del 2022, che ha portato a un crollo di FTT, criptovaluta nativa di FTX.
Il patrimonio netto di Bankman-Fried ha raggiunto il picco di $ 26 miliardi. Nell’ottobre 2022, aveva un patrimonio netto stimato di $ 10,5 miliardi. Tuttavia, l’8 novembre 2022, durante la crisi di solvibilità di FTX, si stima che il suo patrimonio netto sia sceso del 94% in un giorno a $ 991,5 milioni, secondo il Bloomberg Billionaires Index , il più grande calo di un giorno nella storia dell’indice che entro l’11 novembre 2022 portava Bankman-Fried ad essere privo di ricchezza materiale. Non va dimenticato che l’allora ventottenne miliardario spendeva $ 5,2 milioni per conquistare il secondo posto fra i donatori individuali di Joe Biden nelle elezioni presidenziali del 2020 e che due anni dopo non ha mancato di profondere altre donazioni per $ 40 milioni ai candidati democratici durante le ultime elezioni di medio termine. Operazioni queste che sembrano accompagnarsi con ha chiari legami con i piani alti del potere mondialista, dal Deep State Usa al Forum di Davos, passando per rapporti opachi con l’Ucraina.
«Il Forum Economico Mondiale fino a pochi giorni fa ostentava sul proprio sito il logo dei FTX e citava tra i suoi partner la società con sede alle Bahamas (un paradiso fiscale), “costruita da operatori commerciali per operatori commerciali”, capace di offrire “prodotti innovativi”. Ci asterremo dunque da sospettare che il sistema criptovalutario possa essere anche un eccellente mezzo di riciclaggio di denaro e di regolazione di transazioni sporche o segrete. Lo stesso SBF è stato tra i relatori a Davos lo scorso maggio: non certo uno sconosciuto per l’élite. I legami con il WEF riguardano anche la famiglia: fa parte dell’organizzazione una zia, epidemiologa (!?!) presso la Columbia University, Linda P. Fried. Bankman Fried- che aveva in portafogli fondi come Black Rock e Soft Bank- è accusato di vare utilizzato il denaro dei clienti per finanziare in operazioni spericolate la società sorella di FTX, Alameda Research. Fin qui, si tratta di film già visti. La novità è l’evidente contiguità tra il livello più alto del potere USA e l’ambizioso giovanotto. Circolano fotografie di Bill Clinton sul palco di un evento alle Bahamas lo scorso aprile accanto a SBF, insieme con l’ex primo ministro britannico Tony Blair.» (Maurizio Blondet)
Il sistema delle criptovalute che vedeva alla sua fondazione il progetto dell’avatar anonimo di Satoshi Nakamoto per il rivolgimento della dittatura monetaria delle banche centrali è stato verosimilmente preso in mano da potentati finanziari di lobbies e mafie varie per nascondere ingenti spostamenti segreti di denaro.
Una delle tante grandi beffe delle rivoluzioni sociali.
Il potere dell’album scolastico
Ma lo scandalo dei $ 25 miliardi persi da SBF rischia di non essere un gran che se paragonato alle enormi operazioni dei social network. In questo precipuo periodo, per fare un primo nome, Mark Zuckerberg ha perso quasi 100 miliardi di dollari.
Attraverso il Center for Technology and Civic Life e il Center for Election Innovation and Research, il patron di Facebook, Instagram e WhatsApp, Mark Zuckerberg ha investito finanziamenti privati per 419,5 milioni di dollari a sostegno del Partito Democratico al voto nel 2020.
È quasi quanto i 479,5 milioni di dollari in fondi federali e statali per le spese elettorali relative a COVID nello stesso anno.
Instagram era una simpatica idea di app che utilizzava uno smartphone come una Kodak Instamatic (da cui il nome) per foto-ricordi familiari (in contrasto con le opere d’arte per cui al limite potevano esistere altre piattaforme). Nel 2012, meno di due anni dalla sua messa sul mercato, venne assorbita dalla società di Mark Zuckerberg per 741 milioni di dollari.
Nel 2009 Jan Koum e Brian Acton, due ex impiegati della società informatica Yahoo!, inventarono un’app di messaggistica per mobile che, diversamente da altre già presenti, poteva funzionare su tutti i cellulari con sistema operativo aperto, compreso i BlackBerry e soprattutto i Nokia con Symbian (un sistema operativo a sua volta derivato dai palmari PSION). 5 anni dopo fu proprio FaceBook, la società che aveva rifiutato di assumerli alla loro uscita da Yahoo! ad appropriarsi di quella che rapidamente era divenuta la vera e propria alternativa agli SMS imperanti, proprio perché, oltre ad essere gratuita, permetteva molte ulteriori operazioni. Lo fece investendo oltre 20 miliardi di dollari, circa la metà di quello che avrebbe speso Musk per un social dove però stavano già da da 16 anni interagendo presidenti di stato, star della musica e del cinema, politici e giornalisti di ogni nazione e praticamente buona parte della popolazione statunitense.
Se queste informazioni possono essere note ai più, ma ritengo siano utili per ricostruire il quadro d’insieme, quanto c’è da dire su FaceBook sarebbe ovvio a tutti. Tuttavia vale la pena ricordare che nel 2003 non era nato né con quel nome ma come Facemash, né grazie a Zuckerberg, né per diventare quello in cui si è trasformato: i suoi creatori lo avevano pensato come un passaparola per studenti e fu quando se ne impossessò Zuckerberg che le sue ambizioni divennero mondiali; all’inizio ci si poteva connettere facilmente con i guru di Internet e non solo, si poteva facilmente parlare con intellettuali e attori o cantanti e non era affatto il social più diffuso al mondo. Ricordo che quando feci la prima registrazione mi sembrava un chiacchiericcio inutile e poco comprensibile fra giovani statunitensi. Fu nell’estate del 2008, quando seppi che un milione e più di italiani si erano improvvisamente iscritti ex abrupto, che lo ripresi in mano e lo vidi passare da un ambiente stimolante ad un mostro di luoghi comuni e masse umane che compresi quanto più dannoso che inutile potesse essere un social network. Non che ci fosse solo FaceBook: ben prima che nascesse ne erano nati e perfino defunti un certo numero, ma più o meno erano circoscritti a regioni o competenze precise. Solo YouTube, presto acquisito da Google, proprio come Blogger poteva competere con la viralità di FaceBook.
Fu alla fine del 2020 che gli Headquarters di FaceBook compresero che arrivati a oltre due miliardi e mezzo di utenti più o meno regolari la curva di crescita andava a calare implacabilmente. TikTok stava erodendo gran parte della popolazione giovanile e di quella ludico-qualunquista che faceva gran parte del successo del social di Zuckerberg. Avevano già tentato con Paper e altro la via delle news ma l’hanno trovata sempre molto impervia, sia per il controllo del cartello delle testate che, soprattutto, per la diffusione del giornalismo alternativo. La cosiddetta pandemia, il legame sempre più stretto con il WEF e la guerra alle fake-news intrapresa già dai controllori scientifici che istruirono Wikipedia a bollare di inattendibilità scientifica tutto ciò che non fosse stato sdoganato dagli accademici al potere fecero il resto e le cose si resero complicate fino all’attuale decisione di snellire le fonti di notizie a quelle da decidere. Fu forse per questo che nel 2021 FaceBook cambiò vestito e si trasformò in Meta, un progetto decisamente transumanista volto a sviluppare tecnologie, software e piattaforme per la realizzazione di un mondo virtuale sempre più digitale a partire dal trasferimento dei sensi in apparati tecnologici. Un progetto già nato e presto fallito ai tempi di Second Life.
Oggi gli 11 mila licenziamenti e le perdite per oltre 100 miliardi di dollari lasciano immaginare che le aspettative verso quella presunta rivoluzione fossero esagerate di certo più della morte di Mark Twain di quella volta. Sarà complicato aggiustare le relazioni nei confronti delle tante imprese che avevano scommesso in quei sogni da ingegneri mitomani. Altrettanto complicato sarebbe fare marcia indietro e tornare alla quotidianità di un social onnipresente ma anche lentamente sempre meno attrattivo.
A questo punto ci tocca però occuparci della sciarada-Musk, ma lo faremo un articolo più in là.
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Beni Comuni
La Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili denuncia con un report i problemi di diritti e democrazia in Italia
In occasione della Giornata Internazionale dei Diritti Umani di martedì 10 dicembre 2024, la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili ha pubblicato il rapporto Democracy at the crossroads: mapping rights and liberties in Italy, che evidenzia le tendenze allarmanti che stanno minando i diritti e la democrazia in Italia, derivanti da significativi cambiamenti politici e legislativi durante i primi 2 anni del governo Meloni.
Il rapporto ripercorre la progressiva erosione dei diritti e delle libertà in Italia, analizzando le principali iniziative del governo e il loro impatto sui valori democratici sanciti dalla Costituzione italiana e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Dalla libertà di riunione all’indipendenza della stampa, dai diritti delle persone migranti all’autonomia giudiziaria. I nostri risultati rivelano tendenze preoccupanti che richiedono un’attenzione immediata.
Alcuni dei risultati evidenziati nel rapporto includono:
- A rischio la libertà di stampa e dei media, giornalisti sotto attacco: Il rapporto descrive una situazione sempre più critica per la libertà di stampa e il pluralismo mediatico. L’intimidazione e gli attacchi fisici e online contro i giornalisti sono in aumento. Le pressioni politiche sul servizio pubblico radiotelevisivo sono in crescita, riducendo il pluralismo mediatico.
- Criminalizzazione dei gruppi vulnerabili: Politiche restrittive minacciano il diritto d’asilo in Italia, tra cui l’accordo recente con l’Albania e l’espansione del sistema di detenzione amministrativa dei migranti. Il lavoro delle ONG nei salvataggi in mare è minacciato da nuove normative e misure restrittive per chi salva vite in mare. Altre misure punitive sono state introdotte contro i giovani attivisti.
- Attacchi ai diritti delle donne e della comunità LGBTQIA+: Il governo promuove politiche che dichiarano di rafforzare un modello di famiglia tradizionale, ma in realtà ostacolano l’accesso all’aborto e il riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso.
- Povertà e disuguaglianza sociale: Tagli al welfare aggravano le condizioni economiche di famiglie, minori e anziani.
- Deterioramento dell’indipendenza della magistratura: Pressioni politiche e riforme strutturali minacciano l’autonomia della magistratura, minando il principio dello stato di diritto.
- Riforma del premierato : Le proposte di riforma costituzionale rischiano una concentrazione eccessiva del potere esecutivo senza adeguati contrappesi.
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Digitale
Google è monopolista secondo il Dipartimento di giustizia USA. Ora potrebbe esserci il suo spezzatino
Un documento presentato al giudice federale degli USA Amit Mehta ha portato alla decisione di sanzionare Google per attività monopolistiche. La causa, promossa dal Dipartimento di Giustizia (DOJ) e diversi stati, sostiene che Google abbia usato il proprio potere di mercato in modo anticompetitivo, impedendo ad altre aziende di competere nel settore della ricerca online e dei servizi digitali.
Il giudice Mehta ha valutato le prove contro Google riguardo a vari accordi esclusivi con produttori di dispositivi e sviluppatori di browser che garantiscono a Google di essere il motore di ricerca predefinito su milioni di dispositivi. Questa esclusività ha reso quasi impossibile per i rivali ottenere una significativa quota di mercato, contribuendo a consolidare il monopolio di Google. Il DOJ, insieme agli avvocati generali di diversi stati, ha contestato che Google abbia illegalmente monopolizzato il mercato della ricerca e della pubblicità online attraverso accordi con aziende come Apple e Samsung per mantenere il proprio motore di ricerca come opzione predefinita su diversi dispositivi.
Il cuore dell’accusa riguarda gli “accordi esclusivi” di Google, che hanno portato all’accumulo di circa il 90% delle ricerche online e all’88% del mercato della pubblicità testuale, ostacolando i concorrenti dal punto di vista degli investimenti e dell’innovazione. Il DOJ ha dimostrato che Google paga ingenti somme per diventare il motore di ricerca predefinito, ad esempio su dispositivi Apple, scoraggiando il cambiamento di provider da parte degli utenti e limitando le scelte disponibili al consumatore.
La sentenza non prevede danni economici, ma un’ingiunzione che potrebbe includere misure per impedire a Google di continuare accordi esclusivi di default o addirittura obbligare l’azienda a separare il business della ricerca da altre operazioni come Android e Chrome.
Questo caso rappresenta un passo storico per l’antitrust negli Stati Uniti, simile al processo Microsoft degli anni ‘90, e potrebbe aprire la strada a nuove regolamentazioni per altri giganti della tecnologia, tra cui Apple e Amazon, anch’essi sotto scrutinio legale per pratiche anti-competitive.
Un team legale specializzato del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ), affiancato da esperti in regolamentazione antitrust e tecnologia, sta lavorando a una serie di raccomandazioni per il giudice federale Amit Mehta. La proposta del DOJ include sia rimedi comportamentali che strutturali per affrontare l’impatto monopolistico di Google. I rimedi in valutazione spaziano da restrizioni su accordi preinstallati con produttori di dispositivi, all’accesso dei concorrenti ai dati di ricerca, fino alla potenziale separazione di parti dell’azienda per ripristinare la concorrenza nel settore dividendo Chrome, Google Play Store e il sistema operativo mobile Android dal search.
Questa prima versione delinea una serie di strade per la riforma, tra cui l’obbligo per Google di rendere accessibili i dati e i modelli di programmazione utilizzati per generare risultati tramite il suo motore di ricerca. Il Dipartimento di Giustizia sta anche valutando la possibilità di chiedere al giudice di vietare a Google di utilizzare o conservare i dati che si rifiuta di condividere con società terze.
Google ha dichiarato che intende appellarsi alla decisione, sottolineando che le accuse ignorano i benefici offerti ai consumatori dal loro motore di ricerca. Le fasi successive del processo potrebbero determinare cambiamenti significativi non solo per Google ma per l’intera industria tecnologica, influenzando l’accessibilità e la concorrenza nei mercati digitali anche in Europa e negli altri continenti.
Negli ultimi dieci anni, Google ha accumulato 8,25 miliardi di euro di multe dalle istituzioni antitrust dell’Unione europea che riguardano tra gli altri il suo sistema operativo mobile Android e il servizio pubblicitario AdSense.
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Futuri possibili
TechSoup Days 2024 a Milano il14 e 15 novembre. Il tema è Tech for Humans
Due giorni intensi, un’occasione unica di formazione e di networking:
I TechSoup Days vogliono offrire spunti di pensiero e idee di cambiamento opzionabili da tutte le realtà Non Profit per generare sviluppo sostenibile con l’aiuto della tecnologia. L’edizione 2024 si svolge a a Milano presso Cariplo Factory il 14 e 15 novembre 2024.
Il tema è Tech for Humans:
Stiamo attraversando un periodo storico che vede protagoniste alcune tecnologie digitali dirompenti – dall’intelligenza artificiale al cloud computing – che stanno rendendo l’innovazione digitale più semplice e immediata, più democratica, più potente ed efficace, più inclusiva. Ed ecco che a nuove sfide si accompagnano anche urgenti responsabilità. Come il Non Profit può diventare protagonista di questo frangente? Quale contributo può portare affinché l’umano non rimanga indietro in questa trasformazione digitale?
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