Massa Critica
Marzia Boaglio, la prima Story Art Designer
Marzia Boaglio è nata a Saluzzo, 41 anni fa. Una laurea in Graphic Designer all’Istituto Europeo di Design e un’esperienza straordinaria come grafico al Comitato Olimpico di Torino 2006. Poi il lavoro come dipendente presso un’agenzia pubblicitaria torinese, che ha deciso di lasciare per intraprendere la strada della libera professione.
Nel 2017 sente la necessità di evolvere in studio di design. La passione per le texture e per i materiali è passata dalla carta al legno, dai metalli al marmo fino ai tessuti. La sede è a Torino, nella sua città d’adozione.
Ed è qui che Marzia trasforma storie in opere di prestigio, aprendosi una strada nuova nel mondo del design e dell’arte dello storytelling come Story Art Designer, termine che lei stessa ha forgiato per raccontare storie ed emozioni tenendo alti i valori e il sapere unici del Made in Italy e dell’artigianato locale.
Come è nata l’idea di diventare una Story Art Designer?
Nasce per caso come nelle più belle storie. Un giorno un cliente mi ha chiesto di copiare delle opere famose per le porte della sua nuova casa che sarebbero state intarsiate in legno. Io avrei dovuto semplicemente preparare i file da passare al falegname. In quel momento ho avuto uno slancio di coraggio e gli ho chiesto di poter realizzare delle opere per lui, quindi personalizzare le sue porte. Mi ha dato fiducia e ha accettato! È dal quel momento che ho iniziato a realizzare le mie opere, nate con una tale naturalezza che mi ha sorpreso, proprio come se stessi soltanto aspettando quella commessa per dare pieno sfogo alla mia vena artistica più profonda.
Ho creato quelle opere attraverso il racconto della storia della coppia che stava per andare a vivere in quella nuova casa (opera BACIO), nella quale sarebbero diventati una FAMIGLIA con la nascita della loro bambina, che sarebbe nata da lì a poco (opera ALBA), e poi ho realizzato il CAMMINO, che rappresentava il percorso che avrebbero fatto insieme. Le quattro opere, intarsiate sulle porte di casa, sono quindi diventate la testimonianza di questo loro momento.
Da lì ho capito che, oltre ad essere una designer, potevo raccontare storie. È nata così l’idea di definirmi una Story Art Designer, la figura professionale che realmente mi rappresenta.
E così, da questa intuizione, è nata la tua professione. Come nascono le tue opere?
Ci sono storie così ricche e profonde di significati che meritano di rimanere scolpite nel tempo e di essere trasformate in opere d’arte. Ogni opera realizzata rappresenta il perfetto connubio tra materia ed espressione, nel totale rispetto delle esigenze ed ispirazioni personali.
Mi reputo una persona molto empatica e mi piace ascoltare il racconto della persona per poi riuscire a trasformare in immagini le emozioni che mi arrivano. Seguo ogni fase della produzione in ogni minimo dettaglio, dall’approvazione dei bozzetti al prodotto finito, perché mi piace essere protagonista in tutto il percorso. Con i miei lavori intendo dare vita a nuove emozioni che si evolvono in elementi d’arredo.
Quali materiali utilizzi per le tue opere e quale tra questi ti ispira maggiormente?
Ho un legame particolare con il legno perché è il materiale con il quale ho iniziato. È un materiale meraviglioso perché è caldo. È un elemento vivo e, con le sue venature, arricchisce il gioco prospettico che ricerco nelle mie opere.
L’emozione di vedere un mio disegno trasformato in legno, con la sua ricchezza, è sempre incredibile. Esistono poi molti altri materiali che possono essere a pari livello, come il marmo, i metalli, i tessuti… Insomma, mi piace sperimentare utilizzando anche materiali diversi e ogni volta è una nuova sfida.
A quale stile artistico sono ispirate le tue opere?
Per le mie creazioni prendo spunto dal Futurismo di Depero e di Balla. La forza espressiva di questo stile mi ha permesso di dare nuova vita ad antiche tecniche – come l’intarsio – e di realizzare con esse oggetti unici e contemporanei.
Mi rapiscono i giochi di profondità, il movimento e la forza che queste opere sprigionano grazie ai materiali che, di volta in volta, rappresentano una nuova scoperta.
Sogno che pezzi senza tempo trovino un equilibrio tra l’estetica moderna, lo stile Futurista e l’artigianato tradizionale.
Studio ogni mio elemento con grande attenzione con l’obiettivo di far vivere al mio committente un’esperienza immersiva attraverso l’oggetto stesso.
Come scegli i partner e i fornitori con i quali collabori?
Credo tantissimo nell’artigianato italiano, in questo nostro heritage fortissimo, e per questo seleziono soltanto realtà del territorio. Il mio personale contributo nella valorizzazione degli antichi mestieri avviene attraverso la ricerca di lavorazioni di prestigio. Ogni oggetto è realizzato a mano e nella lavorazione si uniscono tradizione e abilità artigiana con l’utilizzo di tecnologie e macchinari di produzione moderni.
Definisco la mia arte ecosostenibile perché lavoro su commissione utilizzando materiali naturali ed ecologici che acquisto al bisogno e dai quali ottengo pochissimo scarto.
Una delle tue collezioni è dedicata a Torino. Cosa ti ispira in particolare questa città?
Torino è contaminazione di culture. È una città grande ma piccola al tempo stesso. È urbanistica ma anche verde. È passato e futuro assieme.
Prima Capitale d’Italia, città romana con le sue vie parallele e regolari. Una città intrigante, come il suo passato. Ispirazione di artisti e scrittori, dove il Futurismo ha lasciato forte la sua impronta.
Le molte piazze celebrano l’italianità. La più bella per me è Piazza Vittorio, la piazza porticata più grande d’Europa, ispirazione per il Look of The Games dei Giochi Olimpici di Torino 2006.
Tutti questi archi, portici, gallerie e ponti sul fiume Po e Dora, sono il simbolo di una città dinamica, accogliente, sempre in movimento.
Molti italiani dicono che Torino sia una città nebbiosa e misteriosa. Lo è, in fondo è parte del suo fascino e io adoro la magica atmosfera del sole che fa capolino tra le nubi.
Nella collezione Torino e il Futurismo la racconto con questo susseguirsi di giochi di luci e di ombre, attraverso nubi e archi.
Cosa ti aspetti dal tuo futuro?
L’inaspettato! Se la “Marzia” di 10 anni fa mi vedesse oggi, non mi riconoscerebbe. In questi anni ho imparato ad accogliere il futuro e a lasciarmi sorprendere da ciò che esso ha in serbo per me. Quello che faccio oggi mi rende felice, appagata, libera di creare opere d’arte.
Mi auguro di poter proseguire in questo mio percorso e di continuare ad emozionare il prossimo con la creazione delle mie opera d’arte affinché possano vivere per sempre nel suo mondo.
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Arte
Giorgio de Chirico precursore del Surrealismo: una mostra a cent’anni dalla nascita del movimento
In occasione del centenario del Surrealismo (1924-2024), segnato, nell’ottobre del 1924, dalla pubblicazione del Manifeste du surréalisme del critico francese André Breton, la Fondazione Accorsi-Ometto di Torino dedica una mostra a Giorgio de Chirico, ritenuto dallo stesso Breton precursore del Surrealismo.
Prendendo in esame uno specifico arco temporale che va dal 1921 al 1928, la mostra, curata da Victoria Noel-Johnson, è la prima esposizione a porre l’attenzione sugli eventi intorno al 1924, anno cruciale per la fondazione del movimento francese, per cui il pittore italiano assunse un ruolo fondamentale. In quanto tale, l’esposizione intende evidenziare l’importanza del ruolo di de Chirico nella nascita e nello sviluppo del Surrealismo, nonché analizzare il suo complicato rapporto con André Breton, il fondatore del movimento, con il poeta francese Paul Éluard e sua moglie Gala (che poi sposò Salvador Dalì).
Grazie al prestigioso prestito della Bibliothèque littéraire Jacques Doucet di Parigi, nella mostra viene esposto per la prima volta il carteggio de Chirico – Breton (1921-1925), inclusa la lettera del 1924, finora poco conosciuta, in cui l’artista propose di realizzare per Breton la prima replica di un’opera del periodo metafisico, quella de Le muse inquietanti del 1918.
Breton, che scoprì la pittura metafisica di de Chirico nel 1916 a Parigi tramite il poeta-critico Guillaume Apollinaire, iniziò a corrispondere con l’artista alla fine del 1921, coinvolgendo poi il braccio destro del Surrealismo, Éluard, e sua moglie Gala. Tra il 1921 e il 1925, de Chirico scrisse loro oltre venticinque lettere e cartoline. Mentre de Chirico e gli Éluard si conobbero a Roma durante l’inverno del 1923-1924, Breton e de Chirico si incontrarono per la prima volta soltanto verso la fine dell’ottobre del 1924 a Parigi. In quell’anno, si avviò un’intensa frequentazione, documentata dalla celebre foto di gruppo scattata da Man Ray al Bureau de recherches surréalistes (ottobre 1924), scattata pochi giorni dopo la pubblicazione del manifesto di Breton.
Il rapporto tra de Chirico e il gruppo dei Surrealisti, segnato da una serie di collaborazioni professionali e di amicizia, si inasprì rapidamente nel corso del 1925, con una rottura definitiva nel 1926. Il culmine fu raggiunto con la dichiarazione pubblica di Breton secondo cui de Chirico era ‘morto’ artisticamente nel 1918. Per i Surrealisti, il suo improvviso cambiamento avvenuto dal 1919 a favore del Classicismo e dei grandi maestri, era inspiegabile e inferiore rispetto al geniale splendore della sua prima pittura metafisica degli anni Dieci, una critica parzialmente spiegata da un vero e proprio conflitto di interessi: i Surrealisti erano proprietari della maggior parte delle opere dechirichiane del primo periodo metafisico (1910-1918).
In realtà la sofisticazione intellettuale, l’eccellenza tecnica e l’innovazione creativa delle opere di de Chirico realizzate durante tale periodo (1921-1928), dimostrano l’esatto contrario da quanto articolato da Breton. In tale ottica, il visitatore troverà in mostra una ricca selezione di
opere compiute durante la permanenza del pittore in Italia tra Roma e Firenze (databili 1921-1925), seguita dal suo secondo soggiorno parigino (databile fine 1925 – 1928). Nonostante lo sfondo di crescenti polemiche e critiche da parte dei Surrealisti, il pubblico avrà la possibilità di scoprire come de Chirico continuò a realizzare nuove serie dai soggetti innovativi, come Mobili in una stanza, Cavalli in riva al mare, Gladiatori, Archeologhi e Trofei. Esempi presenti in mostra includono i magnifici Combattimento di gladiatori (Fin de combat), 1927 e Chevaux devant la mer (1927-1928).
Come accertato, il pittore si accostò al Classicismo in maniera evidente dal 1919 al 1925: lo si evince dalla formidabile Lucrezia, 1921 circa, dall’Autoritratto con la madre, 1922, e dall’Autoritratto, 1925 – la prima opera dechirichiana acquistata dallo Stato Italiano – dai quali traspare evidente la sua conoscenza e il rispetto profondo per la pittura italiana del Quattrocento. L’elemento della sua continuità dell’opera metafisica degli anni Dieci, da lungo denominata come una “metafisica continua”, è illustrata, ad esempio, da Natura morta con cocomero e corazza, 1922, L’aragosta (Natura morta con aragosta e calco), 1922, o La mia camera nell’Olimpo, 1927, dove, in un’atmosfera fantastica ed enigmatica, compaiono, uno accanto all’altro, oggetti accostati apparentemente in maniera casuale. Oppure i Facitori di Trofei (1926-1928), una chiara evoluzione del primo periodo metafisico di de Chirico, in cui convivono elementi del passato e del presente: figure antiche, frammenti di colonne, fiamme stilizzate, profili di cavalli, il timpano di un edificio classico, fusi insieme da tre personaggi-manichino intenti nella costruzione dell’iconico “totem-trofeo”. Inoltre, opere come Tempio in una stanza e La famiglia del pittore, entrambi del 1926, o Thèbes, 1928, illustrano lo sviluppo innovativo di certi temi e soggetti degli anni Dieci come gli ‘Interni ferraresi’ e i ‘Manichini’.
Nonostante le polemiche dei Surrealisti, in primis quelle di Breton, questo avvicinamento al Classicismo non impedì al critico francese di commissionare a de Chirico delle repliche di opere del primo periodo metafisico, oppure a Paul e Gala Éluard di acquistarne altre con soggetto e stile più tradizionali, come Natura morta con selvaggina (il bicchiere di vino), 1923, e Ulisse (Autoritratto), 1924, entrambi esposti in mostra. La presenza di questi dipinti (già collezione Éluard) evidenzia la conflittualità tra la critica surrealista verso le opere degli anni Venti di de Chirico e tale realtà poco conosciuta.
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Ricordando Giorgio Faraggiana. Attualità della tutela del paesaggio a Torino | Convegno il 13 novembre all’Unione Culturale
Il 13 novembre 2024 alle ore 18, presso l’Unione Culturale Franco Antonicelli Torino (via Cesare Battisti 4/a), è in programma il convegno dal titolo “Ricordando Giorgio Faraggiana. Attualità della tutela del paesaggio a Torino”. (altro…)
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