Agricoltura
Legambiente: 10 proposte per fare dell’Italia un Paese sostenibile con le risorse del Recovery Fund
Dal 19 al 23 di agosto, in occasione del tradizionale appuntamento estivo con Festambiente, la manifestazione nazionale dell’associazione ambientalista organizzata ogni anno a Rispescia (Gr), Legambiente ha messo a segno un obiettivo ambizioso e necessario: l’elaborazione di 10 proposte per un uso sostenibile delle risorse del Recovery Fund per fare dell’Italia un Paese smart. In occasione degli appuntamenti che si sono susseguiti, gli esponenti dell’associazione del cigno verde, i politici nazionali, gli amministratori locali e i rappresentanti del mondo dell’impresa hanno avuto occasione di confrontarsi in merito al presente e al futuro della necessaria ma ancora troppo timida rievoluzione. Lotta alla crisi climatica, economia circolare, innovazione industriale, mobilità ad emissioni zero, agroecologia, aree protette, turismo sostenibile, lotta all’illegalità ambientale, sviluppo della banda ultra-larga, finanza etica: è questo il solco nel quale, secondo Legambiente, il Governo dovrebbe lavorare per rendere il Paese smart e a misura di ambiente.
“Il governo italiano – ha dichiarato Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente – sembra non avere un’idea chiara di come caratterizzare il piano per il rilancio dell’economia da presentare all’Europa in autunno per spendere i 209 miliardi di euro del Recovery Fund. Lo dimostrano i progetti surreali di cui si è parlato nelle ultime settimane come il tunnel sotto allo stretto di Messina, il progetto di Eni per confinare la CO2 nei fondali marini in Alto Adriatico o le nuove strade e pedemontane nel Nord Italia. Il governo italiano ha un’occasione irripetibile per modernizzare il Paese, scegliendo la strada della lotta alla crisi climatica e della riconversione ecologica dell’economia italiana: dimostri coi fatti se crede veramente nel Green New Deal made in Italy.”
Lotta alla crisi climatica
Ondate di calore, alluvioni, riduzione dei ghiacciai alpini raccontano la storia dell’Italia in un Pianeta in piena crisi climatica. Il problema è già qui, per questo è necessario che il Governo italiano, passando dalle parole ai fatti, metta in campo azioni volte a limitare gli effetti dell’emergenza, a partire dall’utilizzo sostenibile delle risorse del Recovery Fund, con efficaci azioni per l’adattamento e la mitigazione degli effetti catastrofici della crisi climatica. Efficienza energetica, innovazione e rinnovabili devono essere messe al centro del Piano per il rilancio italiano, partendo dallo sviluppo dell’eolico a terra e a mare (sono stati già presentati progetti in Alto Adriatico e parchi eolici galleggianti a largo delle coste della Sardegna e della Sicilia) e dal fotovoltaico in tutto il Paese, sui tetti ma non solo (questa tecnologia va promossa anche in agricoltura, non in sostituzione delle produzioni alimentari ma come integrazione al reddito delle imprese agricole, con le soluzioni tecnologiche innovative oggi disponibili sul mercato). Va respinto invece il progetto inutile, costoso e dalla dubbia efficacia proposto da Eni per il confinamento dell’anidride carbonica nei fondali marini davanti alla costa ravennate. Sulla mobilità vanno finanziati prioritariamente progetti su una mobilità urbana sempre più condivisa e sostenibile, utile ora nella fase di riapertura, ma con vantaggi che potranno rendere più vivibili le nostre città. Le due sfide su cui puntare sono il potenziamento della sharing mobility e il raddoppio dei chilometri delle piste ciclabili, un intervento, quest’ultimo, già previsto nei PUMS, i Piani urbani per la mobilità sostenibile, che i Comuni devono mettere in campo al più presto. Si tratta di progetti per 2.626 km di nuove piste ciclabili, da sommare ai 2.341 km di quelle già esistenti in 22 città italiane. Qualche esempio? Secondo i piani, Palermo passerebbe dagli attuali 48 a 155 km di piste ciclabili; Firenze da 66,3 a 108,5; Pesaro da 100 a 180; Napoli da 21,3 a 184,3; Bologna da 248 a 969; Bari da 45,7 a 202,7; Milano da 220 a 406; Parma da 125,5 a 296 km.
Economia circolare
L’Italia può giocare un ruolo da capofila grazie alle tante esperienze di economia circolare promosse da Comuni, società pubbliche e aziende private che fanno in Italia quello che neanche i Paesi del nord Europa sono in grado di realizzare. Cruciale però sarà puntare su: realizzazione di nuovi impianti per la valorizzazione delle frazioni organiche e la produzione di biometano, a partire dal Centro-sud; riduzione della burocrazia, semplificazione della normativa end of waste per la cessazione della qualifica di rifiuto, costruzione di una chiara visione del percorso verso una piena applicazione della teoria “Rifiuti zero” che impone di realizzare 1000 nuovi impianti di riciclo; realizzazione di una rete di impianti per trattare le filiere dei rifiuti oggi inviati all’estero (es. apparecchiature elettriche ed elettroniche) per recuperare materiali preziosi e terre rare; promozione dei distretti dell’economia civile.
Innovazione industriale
In una fase difficile come quella che sta vivendo il sistema industriale italiano a seguito della crisi del Covid-19 occorre dare certezze agli investimenti del settore industriale italiano finalizzati solo ed esclusivamente all’innovazione ambientale. La competitività del sistema industriale italiano può trarre grande beneficio dalla possibilità di prodursi direttamente l’energia attraverso le fonti rinnovabili in autoconsumo, riducendo la bolletta energetica, e di ridurre la spesa per la gestione dei rifiuti, punta sulla riprogettazione dei beni e massimizzazione del riciclo (dalla chimica verde alla siderurgia), decarbonizzando gradualmente i cicli produttivi sia nell’approvvigionamento delle materie prime che nella produzione energetica. In questi anni, si sono fatti passi avanti tecnologici rispetto alle possibilità di autoproduzione da fonti rinnovabili e nei processi di recupero e riciclo di rifiuti che devono entrare nei processi industriali per produrre vantaggi diretti per le imprese e di interesse generale sia per la riduzione di inquinanti atmosferici e gas serra che di smaltimento di rifiuti industriali. I fondi comunitari devono essere finalizzati solo agli investimenti delle imprese che vanno in questa direzione.
Le prime 170 grandi opere pubbliche da realizzare
Stiamo parlando di 170 opere grandi, medie o piccole, suddivise per Regione e per tipologia di intervento – messa in sicurezza, bonifica, trasporti, infrastrutture – che consentirebbero agli italiani di vivere meglio. Tra le 170 opere veramente necessarie al Paese, c’è ad esempio la bonifica delle falde delle province di Vicenza, Padova e Verona dai Pfas per garantire l’acqua potabile, la messa in sicurezza della falda acquifera inquinata del Gran Sasso in Abruzzo, la bonifica della Valle del Sacco nel Lazio, in Calabria i 129 Comuni in infrazione europea per la mancata e cattiva depurazione, il porto di Gioia Tauro senza collegamento ferroviario, la diga sul Metrano ancora incompiuta. In Veneto, un quarto degli interventi ritenuti urgenti nel 2010 per la mitigazione del rischio idrogeologico è ancora da cantierare. In Campania, pur essendoci finanziamenti disponibili, i Comuni non riescono a individuare i siti e realizzare gli impianti per trattare l’organico differenziato necessari per chiudere il ciclo dei rifiuti. La linea ferroviaria Pontremolese che collega Parma con La Spezia passando per la Toscana è per il 50% a binario unico, nonostante rappresenti un pezzo potenziale del corridoio Tirreno-Brennero. Roma aspetta, da oltre vent’anni, l’avvio dei lavori per gli ultimi 10 chilometri dell’anello ferroviario. Il nodo ferroviario di Genova tra crisi aziendali e attese giudiziarie è un cantiere infinito. Naturalmente, c’è Taranto e la bonifica di vaste aree a carico del pubblico di cui non è dato conoscere ancora “il quando e il come” degli interventi da effettuare (il dossier completo è consultabile qui -> https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2020/01/Dossier-Opere-per-Green-New-Deal-2020.pdf)
Agroecologia
Si dovrà inoltre promuovere l’agricoltura a basso impatto ambientale per tutelare meglio gli ecosistemi naturali e la salute dei consumatori. Col Recovery Fund si deve finanziare solo un nuovo modello di agricoltura che sposi appieno la sostenibilità ecologica e sociale; un’agricoltura che possa restare un asse portante dell’economia made in Italy, diventando anche un settore strategico dal punto di vista ambientale a cominciare dalle sfide imposte dalla crisi climatica. Il dossier che il ministro Bellanova sta predisponendo su sollecitazione del premier Conte, per il piano per il rilancio che l’Italia presenterà in autunno all’Europa per utilizzare i finanziamenti europei, deve essere basato solo sullo sviluppo dell’agroecologia nel nostro Paese, fondata sulla riduzione dell’utilizzo della chimica attraverso il ricorso a buone pratiche agronomiche, della plastica e dei consumi energetici e idrici, e sullo sviluppo delle rinnovabili per la produzione energetica e nella filiera dei trasporti dei prodotti, puntando con vigore sull’innovazione nell’agricoltura integrata e sullo sviluppo del biologico. Occorre guidare l’agroalimentare italiano verso un modello che guardi all’innovazione, alla riduzione degli impatti climalteranti, alla valorizzazione del biologico e alla qualificazione ambientale dell’agricoltura integrata, promuovendo l’economia circolare e l’utilizzo di materiali riutilizzabili, riciclabili e compostabili, fino al profilo etico del lavoro in agricoltura e alla lotta all’uso dei fitofarmaci illegali, prevedendo da subito meccanismi premianti e scoraggiando anche economicamente pratiche agricole e zootecniche intensive ed a elevato impatto ambientale.
Aree protette
Attraverso il Recovery Fund si può migliorare il Capitale naturale del nostro Paese, incrementando le aree marine e terrestri tutelate (il 30% del territorio nazionale), istituendo i parchi e le riserve in attesa di completare l’iter e aumentando le aree sottoposte a tutela integrale (il 10%). Servirà poi dare piena attuazione alla strategia marina per migliorare la tutela dello spazio marino/costiero e per ridurre l’inquinamento del mare; promuovere maggiori investimenti a favore della blue-economy, valorizzando le filiere ittiche sostenibili e plastic-free; puntare su una gestione forestale sostenibile del nostro patrimonio boschivo, incrementando i boschi vetusti, creando santuari di biodiversità vegetale e facendo crescere foreste urbane per rendere le nostre città più vivibili e resilienti al cambiamento climatico.
Turismo sostenibile
Le risorse del Recovery Fund dovranno avere un ruolo strategico nel miglioramento della strutturazione dell’offerta turistica sostenibile attraverso la creazione di una “fabbrica dei nuovi prodotti”, un vero e proprio laboratorio di ricerca e sviluppo del settore turistico, puntando fortemente – tra le altre cose – sul turismo degli itinerari attraverso il quale valorizzare al meglio e tradurre in prodotto turistico la varietà di patrimonio diffuso caratteristica del nostro territorio. Definire le caratteristiche (criteri e confini) per un’etichetta che contraddistingua prodotti turistici “attivi e sostenibili” e procedere a un’adeguata promo-commercializzazione degli stessi. Rilanciare con forza il Sistema Nazionale delle Ciclovie Turistiche integrandolo inoltre con quei percorsi che necessitano di poca infrastrutturazione perché insistono su strade a scarsa o nulla intensità di traffico veicolare. Valga a titolo esemplificativo il percorso di animazione e amministrativo sviluppato per la Ciclovia dell’Appennino. Accelerare percorsi di semplificazione normativa che consentano lo sviluppo di traffico cicloturistico su questo tipo di percorsi e lavorare per un’adeguata segnalazione degli stessi.
Lotta all’illegalità ambientale
Si deve operare un’accelerazione da una parte della lotta all’illegalità ambientale e dall’altra delle procedure autorizzative di carattere ambientale per la realizzazione di opere pubbliche, bonifiche dei siti inquinati, impianti per l’economia circolare, e non solo, potenziando e rendendo uniformi su tutto il territorio nazionale le azioni di prevenzione, controllo e repressione delle attività illegali. Per tale ragione è fondamentale rimuovere la clausola di invarianza dei costi per la spesa pubblica prevista nella Legge 132/2016, che ha istituito il Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente, perché la sua applicazione porta inevitabilmente a risorse inadeguate nei controlli ambientali e sanitari. Parallelamente è fondamentale finanziare le attività atte a garantire su tutto il territorio nazionale le prestazioni essenziali delle Arpa per la tutela del diritto a un ambiente sano (Lepta).
Sviluppo della banda ultra-larga
L’emergenza Covid-19 ha fatto emergere con forza un problema cronico dell’Italia: il digital divide. La disparità nelle possibilità di accesso ai servizi telematici rende impossibile a numerose persone di lavorare in smart working, fare video-lezioni scolastiche o universitarie da casa, partecipare più in generale alla vita sociale, economica e democratica del Paese, mettendo in evidenza disuguaglianze tra territori e persone che rischiano di diventare incolmabili. La diffusione della banda ultra-larga su tutto il territorio nazionale è fondamentale per colmare questa lacuna intollerabile. A tal fine è fondamentale procedere allo sviluppo della banda ultra-larga, con la fibra e non solo, mettendo in campo tutte le precauzioni necessarie per minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici relativi alla tecnologia 5G, garantendone allo stesso tempo un adeguato sviluppo. A tal fine sarà fondamentale mantenere tassativamente i valori di attenzione cautelativi per i valori di campo elettrico di 6V/m, dato che negli studi sperimentali a questi livelli di inquinamento elettromagnetico non sono stati osservati effetti avversi alla salute; promuovere presso i Comuni l’adozione del regolamento per la localizzazione delle antenne come strumento di pianificazione e minimizzazione delle esposizioni; finanziare una ricerca indipendente, epidemiologica e sperimentale sulle ondemillimetriche del 5G a 26GHz finalizzata ad approfondire i possibili impatti sulla salute.
Green public procurement e finanza etica
Le risorse del Recovery Fund dovranno essere orientate verso la sostenibilità, promuovendo l’applicazione del green procurement in tutte le procedure di acquisto di beni e servizi, come previsto dal Codice degli appalti, favorendo l’utilizzo di strumenti finanziari etici (es. green bond e social impact bond) e più in generale l’adozione di criteri ambientali e sociali nella finanza pubblica e privata, come previsto dai regolamenti europei in materia.
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Agricoltura
A Torino nasce una vigna urbana all’interno del Politecnico
A Torino nasce una vigna urbana all’interno di un polo universitario grazie a un innovativo progetto del Politecnico di Torino che insieme a Citiculture, startup green tech che trasforma spazi urbani in luoghi di grande impatto sociale e ambientale attraverso la vigna, h.
La nuova vigna è un progetto partecipato e condiviso, un vero e proprio modo di rendere sociale il cambiamento, e vede il coinvolgimento di istituzioni accademiche come il Politecnico di Torino, con il suo nuovo corso di Laurea Magistrale in Agritech Engineering, e Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – DISAFA dell’Università di Torino.
Una superficie di quasi 1.000 metri quadri che ospiterà più di 750 piante di vite in vaso, che andranno ad arricchire il piano di riqualificazione del verde all’interno della sede principale del Politecnico, in uno spazio diviso tra aule (cortile delle Aule I, Cittadella politecnica) e aree dedicate alla socializzazione e al relax di studenti e frequentatori del campus.
Dal punto di vista vitivinicolo, l’elemento sperimentale sta nella scelta di diversi tipi di clone, di filari e pergole, e in diversi tipi di varietà di vite e bacca, anche per ridurre al minimo l’intervento di fitosanitario, oltre che nella scelta di piantare le vigne in vaso. La selezione delle viti è fatta in collaborazione con il Vivaio Rauscedo, non solo uno dei più grandi vivai d’Europa ma anche tra i pionieri nello sviluppo delle varietà resistenti Piwi.
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Agricoltura
I fiori amici delle api per conoscere le piante che attirano le api e aiutano la biodiversità
I fiori forniscono alle api e agli altri insetti impollinatori una fonte di cibo essenziale sotto forma di nettare e polline. Il nettare è la sostanza zuccherina che costituisce una delle principali fonti di nutrimento per le api; il polline invece procura loro sostanze altrettanto importanti come proteine, lipidi e carboidrati. In poche parole, senza un’abbondanza di fiori le api e gli altri insetti impollinatori avrebbero difficoltà a nutrirsi.
Le api, soprattutto quelle selvatiche, e gli altri insetti impollinatori oggi sono minacciati da pratiche agricole distruttive, uso massiccio di pesticidi chimici, monocolture, perdita di biodiversità e cambiamenti climatici.
La crisi climatica sta modificando il ciclo naturale degli ecosistemi, rendendo le api e gli altri impollinatori sempre più vulnerabili.
Le api e altri insetti come farfalle e bombi sono molto importanti , perché è l’impollinazione che consente ai fiori di fecondarsi e quindi di produrre frutti e semi.
Greenepace ha realizzato una guida gratuita ai fiori amici delle api per aiutare a progettare uno spazio verde per le api e per diffondere informazioni utili per la futura vita delle stesse.
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Agricoltura
Coalizione #CambiamoAgricoltura: dietro le proteste c’è un sistema ingiusto che non tutela i piccoli e medi agricoltori
“Decenni di politiche agricole e commerciali nazionali e comunitarie che hanno creato un modello agricolo insostenibile e iniquo, rispetto al quale gli interessi delle filiere industriali e distributive hanno dominato, a spese del lavoro e del reddito degli agricoltori, della salute delle persone e dell’ambiente, del benessere animale. Agricoltori e consumatori rappresentano oggi gli anelli deboli della filiera agroalimentare, esposti alle conseguenze dei danni all’ambiente e alla salute provocati da questo sistema, mentre i suoi attori forti hanno visto accresciuti i loro profitti e la loro influenza sui decisori politici”. Da questa denuncia parte l’analisi della Coalizione #CambiamoAgricoltura che in una nota analizza le “vere cause del disagio sociale ed economico dietro gli agricoltori che manifestano”.
Per la Coalizione #CambiamoAgricoltura, le associazioni agricole e dell’agroindustria hanno dato in queste settimane “l’ultima spallata” al Green Deal europeo, additato come la principale causa della crisi del settore primario: “L’effetto paradossale di questa situazione è che la maggioranza degli agricoltori, schiacciati dagli attori dominanti la filiera, sono in una condizione di crescente disagio e sfiducia verso l’intero sistema agroalimentare e sono stati indotti a orientare le loro proteste verso le regole e gli impegni per la tutela dell’ambiente, complice anche la strumentalizzazione dei decisori politici”.
Gli obiettivi delle strategie del Green Deal europeo al 2030, definiti per trovare soluzioni efficaci alle due grandi crisi ambientali globali, il cambiamento climatico e la perdita della biodiversità, che colpiscono in particolare l’agricoltura, sono diventati il facile capro espiatorio del crescente disagio sociale e della crisi economica di molti agricoltori.
Dietro le proteste c’è un sistema ingiusto che non tutela i piccoli e medi agricoltori
I motivi di questo malessere sono in realtà assai più numerosi, come risulta evidente anche dalla rapida evoluzione delle rivendicazioni e richieste dei comitati che stanno animando la protesta, che avrà probabilmente nella manifestazione di oggi a Roma il suo epilogo.
Le contestate regole agroambientali sono state introdotte, peraltro con scarso successo, nelle più recenti programmazioni della Politica Agricola Comune (Pac) per cercare di correggere le distorsioni di questa politica europea, ma non è altresì cambiata la distribuzione della grande percentuale degli aiuti che è rimasta profondamente iniqua, con l’80% dei 387 miliardi di euro previsti nel periodo 2021-2027 che verranno distribuiti solo al 20% delle aziende agricole. Questa iniquità e ingiustizia non è stata risolta con l’ultima riforma della Pac, il cui fallimento va attribuito a conflitti di interesse su posizioni conservatrici in difesa di privilegi e rendite storiche.
Le corporazioni agricole hanno, infatti, difeso un sistema di pagamenti legato alle superfici aziendali e ai titoli storici, che da temporanei sono diventati permanenti, premiando i grandi proprietari e penalizzano i piccoli e medi agricoltori, condannando al fallimento le aziende agricole delle aree interne e penalizzando i nuovi giovani agricoltori. Il risultato è che, solo in Italia, nell’ultimo decennio è scomparso il 30% delle aziende agricole mentre nell’ultimo cinquantennio è stato abbandonato oltre un terzo delle superfici agricole. A questo si è aggiunta la mancanza da parte delle organizzazioni agricole di un’azione di accompagnamento degli agricoltori nel cambiamento del modello produttivo e aumento delle competenze.
La stessa retorica dell’agricoltore custode dell’ambiente e artefice del cibo di qualità, a prescindere dal modello di agricoltura praticato, non ha aiutato a comprendere la necessità di un’evoluzione del ruolo sociale e ambientale dell’agricoltura.
Gli agricoltori sono i fornitori del nostro più importante bene comune, il cibo. Il cambiamento dei sistemi agroalimentari deve avvenire dando loro la possibilità di operare nelle migliori condizioni.
Perché è necessaria una transizione agroecologica
I sussidi pubblici all’agricoltura devono essere funzionali al mantenimento di una sostenibilità economica per le aziende agricole e alla loro crescita numerica, senza distorsioni nella distribuzione degli aiuti. Ma devono anche facilitare la necessaria transizione ecologica con l’adozione di pratiche agroecologiche in grado di garantire la tutela dell’ambiente e del benessere animale. Queste pratiche tuteleranno ulteriormente anche il reddito degli agricoltori. Nell’annata agraria 2023, caratterizzata da notevoli cali di produzione dovuti agli effetti devastanti del cambiamento climatico (con perdite del 10% per i seminativi fino al 70% per la frutta come pere e ciliegie), le aziende agricole biologiche sono risultate essere le più resilienti, a dimostrazione dell’efficacia delle pratiche agronomiche basate sull’agroecologia alternative all’agricoltura avvelenata dai pesticidi e fertilizzanti chimici.
Le Associazioni della Coalizione #CambiamoAgricoltura esortano gli agricoltori, la Commissione europea e il Governo italiano a evitare qualsiasi indebolimento delle regole della Pac, ribadendo che tali azioni impediranno la transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente.
Invitano infine le Istituzioni nazionali e tutte le Associazioni che a vario titolo rappresentano gli agricoltori ad aprire un serio dibattito sulle reali cause della crisi economica del settore primario, che non vanno cercate nella protezione dell’ambiente, nella conservazione della natura e nella lotta ai cambiamenti climatici, ma in un sistema agroalimentare ingiusto, che tutela essenzialmente gli interessi delle grandi corporazioni agricole e agroindustriali (chimiche, meccaniche, sementiere, della trasformazione alimentare), penalizzando invece i piccoli produttori e i consumatori.
CambiamoAgricoltura è una coalizione nata nel 2017 per chiedere una riforma della PAC che tuteli tutti gli agricoltori, I cittadini e l’ambiente. Aderiscono alla Coalizione oltre 90 sigle della società civile ed è coordinata da un gruppo di lavoro che comprende le maggiori associazioni del mondo ambientalista, consumerista e del biologico italiane che aderiscono ad organizzazioni europee (Associazione Consumatori ACU, AIDA, AIAB, AIAPP, Associazione Italiana Biodinamica, CIWF Italia FederBio, ISDE Medici per l’Ambiente, Legambiente, Lipu, Pro Natura, Rete Semi Rurali, Slow Food Italia e WWF Italia). E’ inoltre supportata dal prezioso contributo di Fondazione Cariplo.
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