Massa Critica
9,7 milioni di bambini nel mondo potrebbero non tornare mai più a scuola a causa della pandemia di Coronavirus
Almeno 9,7 milioni di bambini nel mondo potrebbero non tornare mai più a scuola a causa della pandemia di Covid-19. Questi sono i dati diffusi da Save the Children. L’impatto economico dell’epidemia potrebbe costringere i bambini a entrare presto nel mondo del lavoro, le ragazze più dei coetanei maschi; e per loro c’è anche il rischio di matrimoni precoci, sempre per motivi economici. I Paesi più a rischio sono quelli dell’ Africa centrale oltre allo Yemen e all’ Afghanistan.
Per la prima volta nella storia dell’umanità un’intera generazione di bambini a livello globale ha dovuto interrompere la propria istruzione: la chiusura delle scuole per contenere la diffusione del Coronavirus nella fase più acuta dell’emergenza ha lasciato 1,6 miliardi di bambini e adolescenti fuori dalla scuola – circa il 90% dell’intera popolazione studentesca. Ad oggi sono 1,2 miliardi gli studenti colpiti dalla chiusura delle scuole, prima dell’emergenza erano molto meno di un quarto, 258 milioni2. I profondi tagli al budget per l’istruzione e la crescente povertà causati dalla pandemia di COVID-19 potrebbero costringere almeno 9,7 milioni di bambini a lasciare la scuola per sempre entro la fine di quest’anno, mentre milioni di altri bambini avranno gravi ritardi nell’apprendimento. Il cammino per garantire entro il 2030 a tutti i bambini di poter andare a scuola era già a rischio, e non aveva registrato significativi progressi, ma l’emergenza Covid-19 rischia di consegnare a una generazione di bambini un futuro fatto solo di povertà.
https://vimeo.com/436411443/5a8969020a
Questa la drammatica denuncia contenuta nel nuovo rapporto globale di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro, dal titolo “Save our education- Salvate la nostra educazione” diffuso oggi, con il quale si chiede ai governi e ai donatori della comunità internazionale di rispondere a questa emergenza educativa globale investendo urgentemente nell’istruzione.
Prima dello scoppio dell’emergenza, 258 milioni di bambini e adolescenti erano già fuori dalla scuola. Nel rapporto di Save the Children si analizza, attraverso un indice di vulnerabilità, il rischio che corrono i bambini in molti paesi a medio e basso reddito di non tornare a scuola dopo la chiusura a causa del Covid-19. L’indice prende in considerazione in particolare tre parametri: il tasso di abbandono scolastico precedente all’emergenza, le diseguaglianze di genere e di reddito tra i bambini che lasciavano la scuola e il numero di anni di frequenza scolastica. L’analisi di questo indice mette in evidenza come in 12 paesi – Niger, Mali, Chad, Liberia, Afghanistan, Guinea, Mauritania, Yemen, Nigeria, Pakistan, Senegal e Costa d’Avorio – il rischio di incremento di abbandono scolastico sia estremamente elevato. In altri 28 paesi il rischio è comunque elevato o moderato. Un pericolo che è ancora più concreto per le ragazze rispetto ai ragazzi, molte delle quali potrebbero essere costrette al matrimonio precoce. Anche rispetto al rischio di abbandonare la scuola per entrare nel mercato del lavoro a causa della recessione innescata dalla pandemia che aggrava la condizione delle famiglie, le bambine sono molto più esposte. Sono infatti 9 milioni le bambine in età di scuola primaria che rischiano di non mettere mai piede in una classe, a fronte di 3 milioni di bambini.
Il rapporto analizza inoltre gli effetti devastanti che l’epidemia COVID-19 potrebbe avere sull’educazione, a causa anche dello spostamento delle risorse di bilancio che i governi potrebbero dedicare alla risposta all’emergenza piuttosto che all’investimento sull’istruzione. Prendendo in considerazione una serie di scenari economici in conseguenza della recessione causata dall’emergenza Covid-19 e il loro possibile impatto sul Pil dei paesi a medio e basso reddito, è stata stimata la capacità di questi paesi di mantenere gli investimenti previsti sull’istruzione. Nello scenario peggiore, in cui i governi dovessero essere costretti a drenare il 10% delle risorse ora destinate all’istruzione per coprire altre spese legate alla risposta all’emergenza, verrebbero a mancare 192 miliardi di dollari entro la fine del 2021 per l’istruzione nei paesi a basso reddito.
“Circa 10 milioni di bambini potrebbero non tornare mai a scuola: si tratta di un’emergenza educativa senza precedenti. Proprio per questo i governi devono investire urgentemente nell’apprendimento, mentre al contrario siamo a rischio di impareggiabili tagli di bilancio, che vedranno esplodere le disparità esistenti tra ricchi e poveri e tra ragazzi e ragazze. Sappiamo che i bambini più poveri ed emarginati che erano già i più a rischio hanno il danno maggiore, senza accesso all’apprendimento a distanza o qualsiasi altro tipo di istruzione, per metà dell’anno accademico”, ha dichiarato Inger Ashing, CEO di Save the Children.
Sono nell’africa Sub-Sahariana, ad esempio, a causa della pandemia, dai 22 ai 33 milioni di bambini potrebbero aggiungersi a coloro che vivono sotto la soglia di povertà, vivendo con meno di 1,90 dollari al giorno. Nonostante gli sforzi dei governi e delle organizzazioni, circa 500 milioni di bambini non hanno avuto accesso all’apprendimento a distanza e molti dei bambini più poveri e vulnerabili potrebbero non avere genitori alfabetizzati che possano aiutarli. Avendo perso mesi di apprendimento, molti faranno fatica a recuperare la perdita di competenze o il mancato apprendimento, aumentando la probabilità di abbandono.
La chiusura delle scuole – sottolinea l’Organizzazione – va ben oltre la perdita dell’istruzione per molti bambini: li ha lasciati lontani da quei luoghi sicuri dove potevano giocare con gli amici, mangiare e accedere ai servizi sanitari, compresi quelli per la salute mentale. Sono infatti molto spesso proprio gli insegnanti ad essere in prima linea e a proteggere i bambini che potrebbero subire abusi a casa. Con la chiusura delle scuole, queste misure di protezione sono venute meno. Basti pensare che 352 milioni di bambini in tutto il mondo (il 47% dei quali sono ragazze) non stanno avendo la possibilità di accedere ai pasti garantiti dalla scuola.
La riduzione degli investimenti nell’educazione, oltre all’epidemia di COVID-19, potrebbe essere un duro colpo per milioni di bambini. Tenendo conto delle ultime proiezioni di crescita economica da giugno 2020, la stima di Save the Children prevede che senza un’azione urgente per proteggere le famiglie, il numero di bambini che vivono in famiglie povere potrebbe salire tra 90 e 117 milioni nel 2020, con una stima media di 105 milioni. Questo aumento della povertà avrebbe come conseguenza quella di veder crescere tra i 7 e 9,7 milioni il numero dei bambini che abbandonano la scuola. In molti dei 12 principali paesi a rischio elevato analizzati dall’indice del rapporto, vi erano già alti tassi di abbandono scolastico e una netta divisione nella frequenza scolastica derivata dalle diseguaglianze economiche e di genere. Fattori di esclusione che rischiano di essere esacerbati a causa delle conseguenze della pandemia: sono proprio i bambini più poveri, infatti, a correre di più il rischio di essere costretti al lavoro minorile. La violenza di genere, il matrimonio e le gravidanze precoci sono fenomeni che aumentano quando le ragazze sono costrette a rimanere fuori dalla scuola. Secondo le stime dell’UNFPA a causa della pandemia, 2 milioni di ragazze in più in tutto il mondo potrebbero essere vittima delle mutilazioni genitali nel prossimo decennio, interrompendo gli sforzi globali per porre fine a questa pratica.
La questione delle risorse a disposizione da investire in istruzione è fondamentale, soprattutto in un momento di rischio di recessione. I rimborsi del debito occupano ancora una parte considerevole di entrate che i paesi in via di sviluppo devono ai governi creditori. Anche prima della crisi COVID-19, 34 paesi a basso reddito su 73 erano schiacciati da questa spesa e il rischio è che questo scenario possa peggiorare nel momento in cui la recessione provocherà una significativa riduzione delle entrate. Si tratta invece di denaro che potrebbe essere utilizzato per rispondere e contrastare la crisi sanitaria ed economica, non andando dunque ad intaccare gli investimenti in educazione per coprire altre voci di bilancio.
“Se permettiamo che questa crisi educativa si aggravi, le conseguenze sul futuro dei bambini saranno gravissime. La promessa che il mondo ha fatto di garantire a tutti i bambini l’accesso a un’istruzione di qualità entro il 2030, sarà irrealizzabile per molti anni. Per questo chiediamo che i governi mettano gli interessi dei bambini davanti alle pretese dei loro creditori. Tutti i bambini hanno il diritto di imparare, sviluppare e costruire un futuro migliore di quello che i loro genitori avrebbero potuto avere: che vivano in un campo profughi in Siria, in una zona di conflitto nello Yemen, in una zona urbana sovraffollata o in un remoto villaggio rurale, l’istruzione è la base per dare loro la possibilità di migliorare e non possiamo permettere che il COVID-19 tolga loro questa opportunità”, continua Inger Ashing.
In molti paesi, Save the Children ha fornito materiali di apprendimento a distanza come libri e kit di apprendimento a casa per supportare gli studenti durante il blocco, lavorando a stretto contatto con governi e insegnanti per fornire lezioni e supporto tramite radio, televisione, telefono, social media e app di messaggistica. Save the Children esorta i governi e i donatori a garantire che i bambini fuori dalla scuola abbiano accesso all’apprendimento a distanza e ai servizi di protezione. Chi torna a scuola dovrebbe essere in grado di farlo in modo sicuro e inclusivo, con accesso ai pasti scolastici e ai servizi sanitari. Le valutazioni di apprendimento e le lezioni di recupero devono essere adattate in modo che i bambini possano recuperare il loro apprendimento perduto. Per garantire che ciò accada, Save the Children chiede un aumento dei finanziamenti per l’istruzione, oltre ai 35 miliardi di dollari che dovranno essere messi a disposizione dalla Banca mondiale. I governi nazionali devono dare priorità all’istruzione producendo e implementando le risposte educative COVID-19 e piani di recupero per garantire che i bambini più emarginati possano continuare ad apprendere.
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Arte
Giorgio de Chirico precursore del Surrealismo: una mostra a cent’anni dalla nascita del movimento
In occasione del centenario del Surrealismo (1924-2024), segnato, nell’ottobre del 1924, dalla pubblicazione del Manifeste du surréalisme del critico francese André Breton, la Fondazione Accorsi-Ometto di Torino dedica una mostra a Giorgio de Chirico, ritenuto dallo stesso Breton precursore del Surrealismo.
Prendendo in esame uno specifico arco temporale che va dal 1921 al 1928, la mostra, curata da Victoria Noel-Johnson, è la prima esposizione a porre l’attenzione sugli eventi intorno al 1924, anno cruciale per la fondazione del movimento francese, per cui il pittore italiano assunse un ruolo fondamentale. In quanto tale, l’esposizione intende evidenziare l’importanza del ruolo di de Chirico nella nascita e nello sviluppo del Surrealismo, nonché analizzare il suo complicato rapporto con André Breton, il fondatore del movimento, con il poeta francese Paul Éluard e sua moglie Gala (che poi sposò Salvador Dalì).
Grazie al prestigioso prestito della Bibliothèque littéraire Jacques Doucet di Parigi, nella mostra viene esposto per la prima volta il carteggio de Chirico – Breton (1921-1925), inclusa la lettera del 1924, finora poco conosciuta, in cui l’artista propose di realizzare per Breton la prima replica di un’opera del periodo metafisico, quella de Le muse inquietanti del 1918.
Breton, che scoprì la pittura metafisica di de Chirico nel 1916 a Parigi tramite il poeta-critico Guillaume Apollinaire, iniziò a corrispondere con l’artista alla fine del 1921, coinvolgendo poi il braccio destro del Surrealismo, Éluard, e sua moglie Gala. Tra il 1921 e il 1925, de Chirico scrisse loro oltre venticinque lettere e cartoline. Mentre de Chirico e gli Éluard si conobbero a Roma durante l’inverno del 1923-1924, Breton e de Chirico si incontrarono per la prima volta soltanto verso la fine dell’ottobre del 1924 a Parigi. In quell’anno, si avviò un’intensa frequentazione, documentata dalla celebre foto di gruppo scattata da Man Ray al Bureau de recherches surréalistes (ottobre 1924), scattata pochi giorni dopo la pubblicazione del manifesto di Breton.
Il rapporto tra de Chirico e il gruppo dei Surrealisti, segnato da una serie di collaborazioni professionali e di amicizia, si inasprì rapidamente nel corso del 1925, con una rottura definitiva nel 1926. Il culmine fu raggiunto con la dichiarazione pubblica di Breton secondo cui de Chirico era ‘morto’ artisticamente nel 1918. Per i Surrealisti, il suo improvviso cambiamento avvenuto dal 1919 a favore del Classicismo e dei grandi maestri, era inspiegabile e inferiore rispetto al geniale splendore della sua prima pittura metafisica degli anni Dieci, una critica parzialmente spiegata da un vero e proprio conflitto di interessi: i Surrealisti erano proprietari della maggior parte delle opere dechirichiane del primo periodo metafisico (1910-1918).
In realtà la sofisticazione intellettuale, l’eccellenza tecnica e l’innovazione creativa delle opere di de Chirico realizzate durante tale periodo (1921-1928), dimostrano l’esatto contrario da quanto articolato da Breton. In tale ottica, il visitatore troverà in mostra una ricca selezione di
opere compiute durante la permanenza del pittore in Italia tra Roma e Firenze (databili 1921-1925), seguita dal suo secondo soggiorno parigino (databile fine 1925 – 1928). Nonostante lo sfondo di crescenti polemiche e critiche da parte dei Surrealisti, il pubblico avrà la possibilità di scoprire come de Chirico continuò a realizzare nuove serie dai soggetti innovativi, come Mobili in una stanza, Cavalli in riva al mare, Gladiatori, Archeologhi e Trofei. Esempi presenti in mostra includono i magnifici Combattimento di gladiatori (Fin de combat), 1927 e Chevaux devant la mer (1927-1928).
Come accertato, il pittore si accostò al Classicismo in maniera evidente dal 1919 al 1925: lo si evince dalla formidabile Lucrezia, 1921 circa, dall’Autoritratto con la madre, 1922, e dall’Autoritratto, 1925 – la prima opera dechirichiana acquistata dallo Stato Italiano – dai quali traspare evidente la sua conoscenza e il rispetto profondo per la pittura italiana del Quattrocento. L’elemento della sua continuità dell’opera metafisica degli anni Dieci, da lungo denominata come una “metafisica continua”, è illustrata, ad esempio, da Natura morta con cocomero e corazza, 1922, L’aragosta (Natura morta con aragosta e calco), 1922, o La mia camera nell’Olimpo, 1927, dove, in un’atmosfera fantastica ed enigmatica, compaiono, uno accanto all’altro, oggetti accostati apparentemente in maniera casuale. Oppure i Facitori di Trofei (1926-1928), una chiara evoluzione del primo periodo metafisico di de Chirico, in cui convivono elementi del passato e del presente: figure antiche, frammenti di colonne, fiamme stilizzate, profili di cavalli, il timpano di un edificio classico, fusi insieme da tre personaggi-manichino intenti nella costruzione dell’iconico “totem-trofeo”. Inoltre, opere come Tempio in una stanza e La famiglia del pittore, entrambi del 1926, o Thèbes, 1928, illustrano lo sviluppo innovativo di certi temi e soggetti degli anni Dieci come gli ‘Interni ferraresi’ e i ‘Manichini’.
Nonostante le polemiche dei Surrealisti, in primis quelle di Breton, questo avvicinamento al Classicismo non impedì al critico francese di commissionare a de Chirico delle repliche di opere del primo periodo metafisico, oppure a Paul e Gala Éluard di acquistarne altre con soggetto e stile più tradizionali, come Natura morta con selvaggina (il bicchiere di vino), 1923, e Ulisse (Autoritratto), 1924, entrambi esposti in mostra. La presenza di questi dipinti (già collezione Éluard) evidenzia la conflittualità tra la critica surrealista verso le opere degli anni Venti di de Chirico e tale realtà poco conosciuta.
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