Ambiente
Foreste, gestione sostenibile e post Vaia: Le 10 proposte di Legambiente al Secondo Forum nazionale sulla gestione forestale e sostenibile

In Italia più di un terzo della superficie nazionale è ricoperta dai boschi. Seppur in crescita, per via dell’abbandono dei terreni agricoli e di quelli legati ai pascoli, oggi questi cuori verdi nazionali – che ospitano quasi metà del numero di specie animali e vegetali d’Europa – sono sempre più vulnerabili e fragili anche per via degli impatti dei cambiamenti climatici e degli eventi estremi. L’innalzamento delle temperature, le piogge intense, le raffiche di vento, le gelate precoci, ma anche i forti periodi di siccità sono, insieme alla piaga degli incendi e all’arrivo di nuovo specie aliene, tra le principali minacce per questi grandi polmoni verdi della terra che contribuiscono a mitigare gli effetti del riscaldamento globale assorbendo carbonio. La quantità di carbonio organico accumulato annualmente nelle foreste italiane (dati Rapporto Foreste del MIPAAF) ammonta a 1,24 miliardi di tonnellate, in media 141,7 t/ha, corrispondenti a 4,5 miliardi di anidride carbonica assorbita dall’atmosfera. Per questo oggi più che mai è fondamentale definire una coraggiosa ed efficace strategia forestale nazionale che metta al centro la definizione di piani di adattamento ai cambiamenti climatici a medio-lungo termine e interventi incisivi di mitigazione, in grado di migliorare la biodiversità e favorire una diversa “struttura” delle foreste per rispondere agli effetti climatici che sollecitano gli habitat forestali. Ma per far ciò è importante anche puntare su una gestione e una pianificazione forestale sempre più sostenibile e responsabile.
È questa la grande sfida e le tre principali proposte che Legambiente lancia a Roma nel corso del Secondo Forum nazionale sulla gestione forestale sostenibile che coinvolge esperti del settore, rappresentanti del mondo istituzionale, scientifico, della ricerca, ma anche aziende e realtà virtuose e che si inserisce all’indomani del primo anniversario della tempesta Vaia che ha lasciato una ferita profonda sul territorio italiano: 41.691 gli ettari di boschi distrutti e 8.7 milioni di mc di legname schiantati a terra (7 volte il materiale prodotto in un anno dalle segherie italiane) dal vento che in alcuni casi ha superato i 200km/h. A ciò va aggiunta la perdita di servizi ecosistemici garantiti proprio da quelle foreste che ammonta a circa 20 milioni di euro/anno, mentre la riduzione del valore commerciale del legname provocherà l’80% di incassi in meno da parte di proprietari pubblici e privati. Una ferita, quella di Vaia, che deve aprire una riflessione a 360 gradi sulla tutela, la conservazione e la gestione forestale in chiave sostenibile dell’intero patrimonio forestale italiano, sulla bioeconomia, sullo sviluppo delle filiere e dei servizi ecosistemici, sul recupero dei terreni agricoli abbandonati; ma anche sul grande tema della rigenerazione urbana e sul contributo che i boschi urbani possono dare per migliorare le città e le qualità dell’aria. Questi temi assumono sempre di più un ruolo strategico per la Penisola e in particolare per le sue aree interne e montane.
Per questo l’associazione ambientalista ha presentato un pacchetto di dieci proposte che vanno proprio in questa direzione: oltre alla sfida citata in apertura, per Legambiente è importante incrementare la biodiversità forestale aumentando, ad esempio, i boschi vetusti, hot spot di biodiversità forestale; ridurre i rischi naturali per le foreste attraverso una pianificazione forestale che comprenda l’analisi di previsione dei rischio, una valutazione delle azioni da compiere per ridurre la vulnerabilità delle foreste e un sistema di valutazione multirischio; creare foreste urbane per rigenerare le città e combattere il cambiamento climatico. Per quanto riguarda il settore forestale, che oggi non riesce a sfruttare tutte le sue potenzialità, per Legambiente è importante promuovere la certificazione forestale perché la sua applicazione su larga scala è garanzia della sostenibilità del settore dal punto di vista ecologico, sociale ed economico. Puntare su un cluster del legno Made in Italy; aumentare l’utilizzo del legno nei processi produttivi in sostituzione di altri materiali perché ciò permette di ridurre in modo significativo le emissioni di CO2 in atmosfera. Infine è utile un uso a cascata dei prodotti forestali ai fini energetici.
“Con questo secondo Forum nazionale – dichiara Stefano Ciafani Presidente nazionale di Legambiente – vogliamo contribuire a migliorare la conoscenza del nostro patrimonio forestale e aumentare la consapevolezza che una buona gestione di questa importante infrastruttura verde può incidere in maniera significativa sulla qualità della nostra vita e rendere più sostenibile l’economia. Il Green new deal italiano non può prescindere dalla bioeconomia delle foreste, ma servono un nuovo progetto condiviso tra i soggetti pubblici, e tra questi ed i privati, e adeguate risorse economiche che garantiscano una adeguata strategia per la tutela della biodiversità. E in questa partita è importante anche investire sul verde urbano ripensando le città in una chiave sempre più ecosostenibile. La vegetazione in città funge da climatizzatore naturale stemperando quelli che sono gli eccessi termici che caratterizzano l’ambiente urbano riducendo, ad esempio, l’effetto isola di calore. Inoltre le aree verdi sono elementi cruciali anche dal punto di vista sociale e culturale in quanto offrono nuovi spazi di svago, socializzazione e dove poter svolgere anche attività sportive”.
“Le nostre foreste – spiega Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente – sono una straordinaria ricchezza ambientale e naturalistica, risultato di profonde trasformazioni territoriali e socio economiche avvenute nel corso dei secoli ma, all’aumento dei valori ecologici e sociali attribuiti ai boschi italiani, si contrappone una carenza di consapevolezza culturale e un abbandono colturale che li espone a sempre più frequenti eventi di disturbo, anche estremi come testimonia la tempesta VAIA, che possono comprometterne la funzionalità e il controllo dei fenomeni di dissesto idrogeologico. Negli ultimi 50 anni nel nostro Paese sono mancate adeguate strategie per frenare lo spopolamento delle aree interne e montane, si sono perse economie basate sulle filiere boschive locali, è mancata una strategia forestale nazionale finalizzata a migliorare il paesaggio e la qualità del bosco per garantire una più efficace protezione del suolo, di tutela del territorio e di politiche efficaci per ridurre gli effetti del riscaldamento globale. Ed è da qui che occorre ripartire, anche grazie all’impulso che può dare al settore la nuova Direzione generale delle foreste del Mipaaf e l’applicazione sostenibile del Testo unico sulle filiere forestali approvato lo scorso anno”.
Dati Foreste: In Italia la superficie forestale compresa all’interno di aree protette ammonta complessivamente a 3.857.652 ettari, di queste poco più di 1.5 milioni di ettari presenta un doppio regime di tutela ricadendo anche all’interno di parchi e siti della rete Natura 2000, mentre circa 1.9 milioni di ettari sono le superfici forestali ricadenti solo in siti Natura 2000 senza altri regimi di tutela. Anche nelle restanti foreste situate al di fuori delle aree protette, il regime di tutela assicurato da un insieme di norme ambientali e paesaggistiche nazionali e regionali, è tra i più stringenti d’Europa.
Altro dato interessante, riguarda la crescita delle foreste. Stando agli ultimi dati diffusi dal MIPAAFT, la superficie forestale italiana complessiva negli ultimi 80 anni si è triplicata, grazie principalmente alla sua espansione naturale sui terreni agricoli e pascolivi abbandonati nelle aree montane e rurali, intorno alle città, negli spazi interstiziali e degradati e periurbani. Altro dato interessante riguarda la superficie forestale sottoposta a vincoli ambientali: se in Europa si attesta al 21%, in Italia sale il 27,5% (circa 2,8 milioni di ettari) della superficie forestale presenta vincoli di tipo naturalistico, e in Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia più del 50%.
Bioeconomia: Il settore forestale, insieme a quello agricolo, svolge un ruolo chiave nel successo della bioeconomia poiché le foreste forniscono la maggior parte delle nostre risorse rinnovabili e offrono una grande opportunità per lo sviluppo delle agro-energie servizi ecosistemici e bioprodotti destinati a sostituire i materiali non rinnovabili. In Italia la filiera legno general’1,6 del PIL e dà lavoro a oltre 300mila persone escluso l’indotto, siamo i più importanti produttori ed esportatori di mobili ed abbiamo grande e consolidata capacità produttiva nel settore cartario e del packaging (Dati FederlegnoArredo- ConLegno). Il settore del mobile (il 63% di tutta la filiera) occupa il 50% degli addetti del sistema legno arredo. L’Italia, inoltre, è tra i primi Paesi al mondo per l’esportazione di prodotti finiti e il sistema legno-arredo costituisce il comparto trainante della filiera foresta-legno italiana. Particolare importanza assume la gestione del bosco e la filiera energetica ad esso collegata nel raggiungimento degli obiettivi Europa 2030 sulle energie rinnovabili previsti dall’UE. Oggi infatti nella Penisola circa il 67% dell’energia termica da Fonti rinnovabili, pari a 7,5 Mtep, proviene dalle biomasse solide agroforestali (colture dedicate e bosco), ed i consumi di biomassa legnosa per usi termici stanno conoscendo in Italia un boom negli ultimi 10 anni.
Boschi Urbani: Infine oggi una delle grandi sfide legate alla rigenerazione verde riguarda anche le città, dove è indispensabile creare nuove aree verdi e boschi urbani come sta facendo ad esempio Milano. Non si tratta solo di una ragione estetica e di arredo urbano, perché il patrimonio arboreo urbano può dare un importante contributo al contenimento, su scala locale, dell’inquinamento atmosferico e acustico, e alla riduzione, su scala globale, delle emissioni di gas serra migliorando quindi la vivibilità nelle aree urbane e la qualità dell’aria. Dagli ultimi dati disponibili Istat 2015, risulta che nei 116 capoluoghi di provincia italiani il Piano del verde è presente in meno di una città su 10, il regolamento del verde nel 44,8% dei casi, e il censimento del verde è realizzato da 3 città su 4. Per Legambiente il tema del verde pubblico deve essere dunque affrontato in modo sistematico con risorse e strumenti tecnici adeguati. Ecosistema Urbano 2018 registra che le politiche del verde messe in atto dai comuni italiani sono ancora altalenanti: ad esempio, soltanto il 62% dei capoluoghi è stato in grado di fornire un bilancio del numero di alberi esistenti in aree di proprietà pubblica (strade e parchi) e 21 città che presentano una dotazione superiore a 20 alberi/100 abitanti e le 6 migliori superano i 30 alberi/100 abitanti (Brescia, Modena, Arezzo, Rimini, Mantova e Bologna).
Il link al report sulle Foreste: https://www.legambiente.it/report-foreste/
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Ambiente
Dossier Nevediversa 2025 di Legambiente: 265 gli impianti dismessiin Italia. Milano Cortina 2026 la sostenibilità è un obiettivo lontano

Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e gennaio 2025 ha segnato un nuovo record come il mese più caldo di sempre. Dalle Alpi agli Appennini nevica sempre meno. Il campanello d’allarme arriva dal numero degli impianti dismessi ad alta quota, ma anche dall’aumento dei bacini di innevamento artificiale per “fabbricare” la neve. Bisogna ripensare il turismo invernale in una chiave più sostenibile replicando le buone pratiche di turismo dolce.
Nella Penisola sono 265 le strutture legate agli sci non più funzionanti, un dato raddoppiato rispetto al 2020 quando ne erano stati censiti 132. Piemonte (76), Lombardia (33), Abruzzo (31) e Veneto (30) sono le regioni ad oggi con più strutture dismesse e che risentono, insieme al resto della Penisola, di una crisi climatica che anche in montagna lascia sempre più il segno, con nevicate in diminuzione e temperature in aumento, e un turismo invernale che diventa più costoso e in alcuni casi di lusso a discapito del portafoglio e dell’ambiente. Aumentano anche i bacini di innevamento artificiale: 165 quelli mappati ad oggi in Italia tramite le immagini satellitari per una superficie totale pari a 1.896.317 mq circa. Il Trentino-Alto Adige è la regione con più bacini censiti (60), seguita da Lombardia (23), e Piemonte (23). La Valle D’Aosta, invece, conta 14 bacini ma primeggia in termini di mq, ben 871.832.
Dalle Alpi agli Appennini nevica sempre meno. Il campanello d’allarme arriva dal numero degli impianti dismessi ad alta quota, ma anche dall’aumento dei bacini di innevamento artificiale per “fabbricare” la neve. Nella Penisola sono 265 le strutture legate agli sci non più funzionanti, un dato raddoppiato rispetto al 2020 quando ne erano stati censiti 132. Piemonte (76), Lombardia (33), Abruzzo (31) e Veneto (30) sono le regioni ad oggi con più strutture dismesse e che risentono, insieme al resto della Penisola, di una crisi climatica che anche in montagna lascia sempre più il segno, con nevicate in diminuzione e temperature in aumento, e un turismo invernale che diventa più costoso e in alcuni casi di lusso a discapito del portafoglio e dell’ambiente. Aumentano anche i bacini di innevamento artificiale: 165 quelli mappati ad oggi in Italia tramite le immagini satellitari per una superficie totale pari a 1.896.317 mq circa. Il Trentino-Alto Adige è la regione con più bacini censiti (60), seguita da Lombardia (23), e Piemonte (23). La Valle D’Aosta, invece, conta 14 bacini ma primeggia in termini di mq, ben 871.832.
Sono 112 le strutture temporaneamente chiuse, mentre sono 128 quelle un “po’ aperte, un po’ chiuse”. Salgono a 218 gli impianti sottoposti ad “accanimenti terapeutici”, distribuiti in 36 comprensori, e più che raddoppiati rispetto al 2020 quando ne erano stati censiti 103. Il numero più alto in Lombardia (59), Abruzzo (47), Emilia-Romagna (34). Resta invariato, invece, il numero degli impianti smantellati e riusati, rispetto all’anno precedente, attestandosi a 31; salgano a 80 gli edifici fatiscenti censiti e sono 15 le storie di brutti progetti segnalati nel report. Il dossier di Legambiente allarga poi lo sguardo anche sulle Alpi francesi e svizzere attraverso l’analisi dei dati di Mountain Wilderness Francia. Ad aprile 2024 sono stati censiti 101 impianti abbandonati in 56 siti distribuiti sulle catene montuose francesi, mentre in Svizzera risultano dismessi da anni oltre 55 skilift e funivie. Segno che il turismo invernale è in crisi anche oltralpe.
A pesare sulla fotografia scattata da Nevediversa 2025 è la crisi climatica che impone un ripensamento del rapporto con la montagna, in quota e a valle. Per Legambiente servono in primis più azioni di mitigazione e adattamento e più finanziamenti per il turismo dolce, accompagnati da una migliore gestione del territorio replicando le buone pratiche. Le previsioni per i prossimi anni indicano inverni significativamente più caldi rispetto a oggi, con un conseguente calo delle nevicate. I dati della Fondazione CIMA illustrano chiaramente il grave deficit nevoso registrato al 13 febbraio 2025 rispetto alle medie storiche. Sulle Alpi nella fascia tra i 1000 e i 2000 metri, la riduzione dell’innevamento è del 71% e addirittura del 94% sugli Appennini. A quote più elevate, tra i 2000 ei 3000 metri, il deficit si attesta al 43% sulle Alpi e al 78% sugli Appennini, evidenziando una situazione critica soprattutto lungo la dorsale appenninica. Dati che evidenziano le difficoltà a cui vanno incontro gli impianti sciistici che, a causa della crisi climatica, hanno prospettive di sviluppo sempre più incerte. Sul sito del Ministero del Turismo, dall’inizio del governo Meloni, sono stati pubblicati avvisi riguardanti l’assegnazione e l’erogazione di contributi pari a ben 430 milioni di euro, destinati a compensare le perdite subite dai comprensori sciistici. Inoltre, fino al 2028, il Ministero continuerà a finanziare a fondo perduto le imprese che gestiscono impianti di risalita a fune.
Negli ultimi anni, gli impianti di neve artificiale sono diventati una spesa costante e cruciale per la sopravvivenza dei comprensori e per garantire la settimana bianca. Tra gli esempi simbolo citati da Legambiente nel report ci sono Veneto, Piemonte e Friuli-Venezia Giulia. A metà febbraio si è registrata una spesa di 2 milioni di euro per l’innevamento artificiale nelle aree montane del Bellunese dall’inizio della stagione. Nel caso del Sestriere, in Piemonte, in quattro anni la cifra spesa ha superato i 10 milioni di €. Per innevare i 125 chilometri di piste del Friuli-Venezia Giulia, il costo stagionale si aggira intorno ai 5.300.000 euro. Oltre alla spesa in conto capitale. Dall’altro lato salgono in Italia i costi della settimana bianca. Una famiglia di tre persone, stando alle ultime stime, quest’anno spenderà in media 186 euro al giorno solo per accedere agli impianti di risalita e alle piste. In aumento, secondo Federturismo, anche il costo di hotel (+5,1%), delle scuole di sci (+6,9%), i servizi di ristorazione (+8,1%). In sintesi, per una settimana bianca, un adulto spende in media 1.453 euro, mentre un nucleo familiare composto da due genitori e un figlio affronta una spesa di circa 3.720 euro.
Il report dedica poi un focus aggiornato sulle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026. A un anno dall’evento sportivo, dove la sostenibilità resta un obiettivo lontano, continuano le difficoltà legate a opere faraoniche, ritardi e costi alle stelle. Partite con un budget di 1,5 miliardi di euro, ad oggi i costi sono saliti a 5,7 miliardi di euro. Riguardo le opere previste molte rischiano di non essere completate tra queste anche le varianti della Val Boite. Continua il monitoraggio sulle opere da parte delle associazioni della Rete Open Olympics. Intanto resta alta l’incognita neve 2026.
Da Cortina alle Cime di Lavaredo, per arrivare a Roccaraso, l’overtourism colpisce Alpi e Appennini a cui il report dedica un approfondimento corredato da interviste ad esperti. Le mete alpine, in particolare, stanno vivendo anche l’espansione del turismo del lusso come sta accadendo a Cortina. Sempre più riservata a un’elitè di ricchi, Cortina sta diventando una “scuola di gentrificazione, dove ci si trova estranei nella propria terra”. Come spiega il professore Alberto Lanzavecchia dell’Università di Padova, “le proprietà non vengono acquistate dagli italiani, ci sono investitori stranieri, oggi solo un terzo degli alberghi è gestito da famiglie di residenti. L’offerta turistica diventa più costosa ed espelle le famiglie italiane, che non possono godere più di quella valle”.
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Ambiente
Prosegue il Progetto Bee Friends – Pollinator Garden nei territori limitrofi al Bioparco ZOOM Torino

Anche nel 2025, la Fondazione ZOOM, grazie al sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, continua il suo impegno a favore dei comuni piemontesi limitrofi al Bioparco ZOOM, con il progetto Bee Friends – Pollinator Garden. (altro…)
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Ambiente
E’ morto a 90 anni Fulco Pratesi , fondatore del WWF Italia di cui è stato a lungo presidente

E’ morto a Roma a 90 anni Fulco Pratesi : architetto, giornalista, autore, disegnatore, fondatore del Wwf Italia di cui è stato a lungo presidente.
Il WWF Italia piange la scomparsa del suo padre fondatore e si stringe con commozione alla famiglia Pratesi. La moglie Fabrizia si era spenta meno di 5 mesi fa, il 4 ottobre 2024 Fulco Pratesi lascia 4 figli, 6 nipoti e una pronipote. Grazie a Fulco Pratesi l’ecologia è entrata nelle case degli italiani, il suo amore smisurato per la natura ha avviato una vera e propria rivoluzione culturale da cui è nato il movimento ambientalista italiano.
Conoscere, amare e difendere la natura. Queste tre semplici regole ci aiuteranno a vivere in armonia
https://www.youtube.com/watch?v=9hg41_d9Z8A&feature=youtu.be
Il ricordo di Fulco Pratesi dal WWF Italia
Fulco Pratesi, nato a Roma nel 1934 e presto sfollato nella prima infanzia con la famiglia nella proprietà di campagna nel viterbese, è entrato presto a contatto con la natura. Fin da piccolissimo s’innamorò degli animali e del disegno. Dopo un’infatuazione giovanile per la caccia, convertì il suo interesse per la natura e gli animali nella conservazione. La sua seconda vita iniziò nel 1963, nelle foreste dell’Anatolia, in Turchia, dove si era recato a caccia. Gli si parò di fronte un’orsa con tre piccoli. Fu un incontro “folgorante” come lui stesso lo ha definito tante volte. Un incontro che gli fece cambiare totalmente prospettiva. Tornato in Italia, vendette il fucile e acquistò una macchina fotografica. Presto, si convertì all’amore incondizionato per tutte le forme viventi e decise di impegnarsi per la conservazione, tanto da abbandonare la professione di architetto. Saputo della nascita del World Wildlife fund in Svizzera, li contattò per far nascere la sezione italiana. “Ma dovrà trovare lei i soldi necessari al progetto” fu la risposta. Con famiglia e già 4 figli, non era facile. Riuniti alcuni amici illuminati nel suo studio di architetto, nacque nel 1966 il WWF Italia, con pochi soldi e tanto entusiasmo. Entusiasmo che è rimasto sempre stato il suo tratto distintivo fino agli ultimi giorni della sua vita.
Fondamentale il suo contributo alla definizione e approvazione di leggi fondamentali per la tutela della natura italiana, dalla della legge 157 sulla fauna a quella sui parchi del 1991. Ma il suo orgoglio più grande erano le oltre 100 Oasi del WWF che amava e conosceva una per una. Fulco Pratesi ha reso migliore il nostro Paese per tutti questi motivi e tanti altri, a cominciare dalla grande vocazione alla divulgazione: storico collaboratore del Corriere della Sera, ha pubblicato una dozzina di libri e curato decine di pubblicazioni anche per ragazzi, trasmettendo la sua grande passione per piante e animali a milioni di italiani attraverso testi accattivanti e disegni dal tratto unico. Ha viaggiato in tutto il mondo, dall’India all’America latina, e tutti i suoi incontri con la natura sono documentati nei suoi inseparabili taccuini.
Seppe fare quello che solo i grandi sanno fare: trasformare un sogno per pochi (la protezione della natura in Italia, la tutela di animali allora braccati come lupi e orsi) in una realtà consolidata. Con un vero e proprio atto di coraggio, con pochi soldi in cassa (i primi soci si erano autotassati), la prima azione del neonato WWF Italia fu quella di acquisire i diritti di caccia della laguna di Burano, dando il via alla nascita dell’Oasi di protezione e del “modello Oasi”, che contraddistingue il WWF Italia dagli altri WWF nel mondo. Oggi le aree gestite o di proprietà sono oltre 100 e proteggono circa 27.000 ettari di natura. Fondamentale è stato anche il suo contributo alla nascita del sistema dei Parchi nazionali, attraverso studi, piani e la spinta all’approvazione della legge quadro sulle aree protette del 1991. Sempre, gettando il cuore oltre l’ostacolo: come quando, nel 1985, l’Associazione raccolse oltre 600 milioni di lire – con un vero e proprio crowdfunding ante litteram – per l’acquisto dell’area di Monte Arcosu, con l’obiettivo di salvare il cervo sardo dal bracconaggio e dall’estinzione.
La sua vita racconta la storia della nostra Associazione. Proverbiali le sue battaglie contro la caccia (per impedire ai cacciatori di entrare nei fondi privati), che lo portarono a ricevere insulti e minacce. Ma anche per la salvaguardia delle creature marine, dai cetacei alla foca monaca, dalle reti spadare. Aveva una grande passione per i piccoli uccelli e per gli ambienti di palude, considerati malsani dai più e invece visti da Fulco, giustamente, come ecosistemi ricchissimi di biodiversità. Da tutelare. In natura passava ore a osservare gli uccelli e a comporre i primi schizzi per i suoi acquerelli. “Se considereremo la natura e il nostro Pianeta come un posto da conquistare e dominare, allora sarà la nostra fine” ha ripetuto nell’ultima intervista.
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