Massa Critica
L’economia della bici in Italia e la ciclabilità nelle città
In Italia gli spostamenti in bici generano un fatturato di 6,2 miliardi l’anno. Benefit sanitari, riduzione di smog e rumore, abbattimento dei costi ambientali e sociali delle emissioni gas serra. A mettere in evidenza che “pedalare è un buon affare” è il rapporto “A Bi Ci – 1° Rapporto sull’economia della bici in Italia e sulla ciclabilità nelle città” realizzato da Legambiente in collaborazione con VeloLove e GRAB+.
Il rapporto mette in risalto le città italiane più “bike friendly”. A Cremona, Rimini, Pisa, Padova, Novara e Forlì, ad esempio, almeno il 15% della popolazione utilizza quotidianamente la bici per i propri spostamenti. Poi ci sono ancora Ravenna, Reggio Emilia, Treviso e Ferrara con percentuali di abitanti che preferiscono il manubrio al volante che oscilanno tra il 22% e il 27%. Per arrivare infine al top di Pesaro e Bolzano, dove circa un abitante su tre (28%) pedala per raggiungere il luogo di lavoro o di studio.
Come fa una città ad essere bike friendly? Nel caso di Bolzano, il comune altoatesino ha collegato tra loro, formando una sorta di grande anello ciclabile, tutte le zone scolastiche, sportive e ricreative cittadine. La città di Pesaro ha realizzato la Bicipolitana, una metropolitana di superficie che alla fine del 2016 conta ben 85 chilometri di percorsi ciclabili e la rete, visto il successo, continua a estendersi. “E’ importante – sottolinea lo studio – che in queste due città il successo non è figlio solo di infrastrutture di qualità per le bici, ma di una riorganizzazione complessiva dello spazio urbano: sono state ampliate le aree pedonali, sottratti spazi alla sosta delle auto, messi in sicurezza gli incroci, istituite zone a velocità moderata. In altre parole, è un approccio innovativo allo spazio urbano e alla sostanziale redistribuzione dei pesi tra le diverse componenti del trasporto che determina alti livelli di ciclabilità a Pesaro e Bolzano”.
Guardando il resto delle città italiane nel complesso, queste, non hanno seguito la strada imboccata da Pesaro e Bolzano. “Si, è vero, sono state inaugurate tante nuove ciclabili, ma evidentemente sono state realizzate male, senza criterio, senza quella dovuta attenzione che dovrebbe far sì che ogni nuovo percorso per le due ruote sia capace di far crescere il numero di frequent biker” evidenzia Legambiente che cita alcuni numeri per spiegare quando detto: tra il 2008 e il 2015 sono stati realizzati 1.346,1 i nuovi chilometri di percorsi ciclabili urbani nelle città capoluogo di provincia. Un incremento delle infrastrutture riservate a chi pedala addirittura del 50% in un solo settennato: l’insieme delle ciclabili urbane è salito infatti dai 2.823,8 km del 2008 ai 4.169,9 km del 2015. Eppure nello stesso periodo la percentuale di italiani che utilizzano la bici per gli spostamenti è rimasta immutata: era il 3,6% nel 2008 ed era ancora il 3,6% nel 2015. Più ciclabili, quindi, non significa più ciclisti in città. Occorre, quindi, sottolinea ancora l’associazione, che le infrastrutture per la ciclabilità siano fatte “con criterio e con qualità e comunque all’interno di una pianificazione che guardi globalmente al sistema città piuttosto che alle sue singole componenti. Ciclisti, pedoni e trasporto pubblico crescono dove si rovesciano le gerarchie, dove cioè andare in auto diventa l’opzione meno concorrenziale e dove c’è garanzia di sicurezza per la cosiddetta utenza vulnerabile”.
L’economia della bici
Pur se le città italiane bike friendly sono ancora una minoranza, il valore economico della ciclabilità in Italia è particolarmente interessante. Per la prima volta, infatti, grazie a questo studio di Legambiente, è stato possibile quantificare quanto vale il settore non solo relativamente al cicloturismo o alla produzione di bici e accessori, ma anche quanto valgono tutte quelle esternalità positive legate alla ciclabilità. “Il dato è incoraggiante – sottolinea Rossella Muroni, presidente Legambiente – l’insieme degli spostamenti a pedali genera un fatturato di 6.206.587.766 euro. Questo patrimonio – somma della produzione di bici e accessori, delle ciclovacanze e dell’insieme delle esternalità positive generate dai biker (come risparmio di carburante, benefit sanitari o riduzione di emissioni nocive) – appare ancora più rilevante soprattutto in considerazione del carattere adolescenziale della ciclabilità in molte parti d’Italia, sia per gli aspetti relativi alla mobilità, sia per quello che riguarda il turismo su due ruote. Ed è interessante anche il fatto che siano 743mila gli italiani che utilizzano sistematicamente la bici per coprire il tragitto casa-lavoro, con percentuali elevatissime nella provincia autonoma di Bolzano (il 13,2% degli occupati raggiunge il luogo di lavoro in bici), in Emilia Romagna (7,8%) e in Veneto (7,7%)”.
Per quanto riguarda la produzione di bici, l’Italia si conferma essere il maggior produttore europeo, con una quota di mercato prossima al 18%. La vendita delle biciclette nel mercato nazionale unita all’export ha generato nel 2015 un giro d’affari di 488.000.000 €, a cui bisogna aggiungere quello del mercato di parti e accessori, che ha generato nello stesso anno vendite per 483.540.000 €.
Il cicloturismo produce, invece, 2 miliardi di euro l’anno, mentre il bike sharing si conferma una realtà piuttosto diffusa su tutto il territorio. Milano, Brescia, Bergamo, Aosta, Pisa e Lodi superano una disponibilità media di 2 biciclette ogni 1.000 abitanti, mentre a Perugia, Palermo e Napoli sono meno di un decimo (0,2). Nell’ultimo quinquennio in Italia è cresciuto poi il mercato delle bici a pedalata assistita, anche se il trend è più contenuto rispetto a quello di altri Paesi Ue. Andare a scuola e in giro in bicicletta sin da piccoli produce benefici sia sanitari che sociali, migliora il benessere, le funzioni celebrali, diminuisce lo stress, con risultati positivi per tutta la famiglia. L’uso della bicicletta produce un risparmio sanitario pari a € 1.054.059.446 l’anno.
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Arte
Giorgio de Chirico precursore del Surrealismo: una mostra a cent’anni dalla nascita del movimento
In occasione del centenario del Surrealismo (1924-2024), segnato, nell’ottobre del 1924, dalla pubblicazione del Manifeste du surréalisme del critico francese André Breton, la Fondazione Accorsi-Ometto di Torino dedica una mostra a Giorgio de Chirico, ritenuto dallo stesso Breton precursore del Surrealismo.
Prendendo in esame uno specifico arco temporale che va dal 1921 al 1928, la mostra, curata da Victoria Noel-Johnson, è la prima esposizione a porre l’attenzione sugli eventi intorno al 1924, anno cruciale per la fondazione del movimento francese, per cui il pittore italiano assunse un ruolo fondamentale. In quanto tale, l’esposizione intende evidenziare l’importanza del ruolo di de Chirico nella nascita e nello sviluppo del Surrealismo, nonché analizzare il suo complicato rapporto con André Breton, il fondatore del movimento, con il poeta francese Paul Éluard e sua moglie Gala (che poi sposò Salvador Dalì).
Grazie al prestigioso prestito della Bibliothèque littéraire Jacques Doucet di Parigi, nella mostra viene esposto per la prima volta il carteggio de Chirico – Breton (1921-1925), inclusa la lettera del 1924, finora poco conosciuta, in cui l’artista propose di realizzare per Breton la prima replica di un’opera del periodo metafisico, quella de Le muse inquietanti del 1918.
Breton, che scoprì la pittura metafisica di de Chirico nel 1916 a Parigi tramite il poeta-critico Guillaume Apollinaire, iniziò a corrispondere con l’artista alla fine del 1921, coinvolgendo poi il braccio destro del Surrealismo, Éluard, e sua moglie Gala. Tra il 1921 e il 1925, de Chirico scrisse loro oltre venticinque lettere e cartoline. Mentre de Chirico e gli Éluard si conobbero a Roma durante l’inverno del 1923-1924, Breton e de Chirico si incontrarono per la prima volta soltanto verso la fine dell’ottobre del 1924 a Parigi. In quell’anno, si avviò un’intensa frequentazione, documentata dalla celebre foto di gruppo scattata da Man Ray al Bureau de recherches surréalistes (ottobre 1924), scattata pochi giorni dopo la pubblicazione del manifesto di Breton.
Il rapporto tra de Chirico e il gruppo dei Surrealisti, segnato da una serie di collaborazioni professionali e di amicizia, si inasprì rapidamente nel corso del 1925, con una rottura definitiva nel 1926. Il culmine fu raggiunto con la dichiarazione pubblica di Breton secondo cui de Chirico era ‘morto’ artisticamente nel 1918. Per i Surrealisti, il suo improvviso cambiamento avvenuto dal 1919 a favore del Classicismo e dei grandi maestri, era inspiegabile e inferiore rispetto al geniale splendore della sua prima pittura metafisica degli anni Dieci, una critica parzialmente spiegata da un vero e proprio conflitto di interessi: i Surrealisti erano proprietari della maggior parte delle opere dechirichiane del primo periodo metafisico (1910-1918).
In realtà la sofisticazione intellettuale, l’eccellenza tecnica e l’innovazione creativa delle opere di de Chirico realizzate durante tale periodo (1921-1928), dimostrano l’esatto contrario da quanto articolato da Breton. In tale ottica, il visitatore troverà in mostra una ricca selezione di
opere compiute durante la permanenza del pittore in Italia tra Roma e Firenze (databili 1921-1925), seguita dal suo secondo soggiorno parigino (databile fine 1925 – 1928). Nonostante lo sfondo di crescenti polemiche e critiche da parte dei Surrealisti, il pubblico avrà la possibilità di scoprire come de Chirico continuò a realizzare nuove serie dai soggetti innovativi, come Mobili in una stanza, Cavalli in riva al mare, Gladiatori, Archeologhi e Trofei. Esempi presenti in mostra includono i magnifici Combattimento di gladiatori (Fin de combat), 1927 e Chevaux devant la mer (1927-1928).
Come accertato, il pittore si accostò al Classicismo in maniera evidente dal 1919 al 1925: lo si evince dalla formidabile Lucrezia, 1921 circa, dall’Autoritratto con la madre, 1922, e dall’Autoritratto, 1925 – la prima opera dechirichiana acquistata dallo Stato Italiano – dai quali traspare evidente la sua conoscenza e il rispetto profondo per la pittura italiana del Quattrocento. L’elemento della sua continuità dell’opera metafisica degli anni Dieci, da lungo denominata come una “metafisica continua”, è illustrata, ad esempio, da Natura morta con cocomero e corazza, 1922, L’aragosta (Natura morta con aragosta e calco), 1922, o La mia camera nell’Olimpo, 1927, dove, in un’atmosfera fantastica ed enigmatica, compaiono, uno accanto all’altro, oggetti accostati apparentemente in maniera casuale. Oppure i Facitori di Trofei (1926-1928), una chiara evoluzione del primo periodo metafisico di de Chirico, in cui convivono elementi del passato e del presente: figure antiche, frammenti di colonne, fiamme stilizzate, profili di cavalli, il timpano di un edificio classico, fusi insieme da tre personaggi-manichino intenti nella costruzione dell’iconico “totem-trofeo”. Inoltre, opere come Tempio in una stanza e La famiglia del pittore, entrambi del 1926, o Thèbes, 1928, illustrano lo sviluppo innovativo di certi temi e soggetti degli anni Dieci come gli ‘Interni ferraresi’ e i ‘Manichini’.
Nonostante le polemiche dei Surrealisti, in primis quelle di Breton, questo avvicinamento al Classicismo non impedì al critico francese di commissionare a de Chirico delle repliche di opere del primo periodo metafisico, oppure a Paul e Gala Éluard di acquistarne altre con soggetto e stile più tradizionali, come Natura morta con selvaggina (il bicchiere di vino), 1923, e Ulisse (Autoritratto), 1924, entrambi esposti in mostra. La presenza di questi dipinti (già collezione Éluard) evidenzia la conflittualità tra la critica surrealista verso le opere degli anni Venti di de Chirico e tale realtà poco conosciuta.
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Ricordando Giorgio Faraggiana. Attualità della tutela del paesaggio a Torino | Convegno il 13 novembre all’Unione Culturale
Il 13 novembre 2024 alle ore 18, presso l’Unione Culturale Franco Antonicelli Torino (via Cesare Battisti 4/a), è in programma il convegno dal titolo “Ricordando Giorgio Faraggiana. Attualità della tutela del paesaggio a Torino”. (altro…)
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Torino, a trent’anni dall’alluvione del Tanaro un dibattito sulla pianificazione e gestione dei rischi climatici
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